La difesa del boss di Solarino, Antonino Aparo, ha prodotto una corposa memoria con sedici allegati per dimostrare la sua estraneità ai fatti che gli sono attribuiti nell’ambito dell’inchiesta denominata “San Paolo”. Aparo, per il quale il pm Alessandro Sorrentino, della Dda di Catania, ha chiesto la condanna a 12 anni di reclusione, è intervenuto in videoconferenza all’udienza davanti al gup Stefano Montoneri. Parlando per circa un’ora ha reso spiegazioni e riscontri alla non esistenza dell’associazione mafiosa. Ha fatto rilevare che la lettera, destinata al figlio, che per gli inquirenti dimostrerebbe la volontà del boss di riprendere in mano la gestione delle attività illecite nel territorio siracusano, non sarebbe mai partita dal carcere di Voghera dove si trovava detenuto in regime di 41 bis. La difesa punta molto sull’esito del riesame e della sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato due capi d’imputazione, tra questi l’associazione mafiosa.
Anche Massimo Calafiore, l’altro principale imputato nel processo scaturito dall’operazione “San Paolo”, ha rilasciato dichiarazioni spontanee sostenendo di non avere avuto alcun rapporto con Antonino Aparo ma solo rapporti di amicizia con il fratello Salvatore, che è stato ucciso diversi anni addietro. Nella prossima udienza, fissata per la fine di novembre, tocca all’avvocato Domenico Mignosa svolgere la propria arringa in difesa di Calafiore, per il quale il pm ha chiesto la condanna a 20 anni di reclusione, tanti quanti ne ha richiesti per il cugino Giuseppe.
Un anno d’indagini, avviate nel mese di settembre 2017, hanno consentito ai carabinieri, mediante specifici servizi di osservazione, controllo e pedinamento, oltre che attraverso l’installazione di videocamere e l’attivazione d’intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, di portare a galla l’intera vicenda. L’indagine ha tratto origine da alcuni incendi verificatisi nel comune di Floridia a danno di esercizi commerciali, tutti accomunati dallo stesso modus operandi.