“Esclusa qualsiasi ipotesi di collusione con i mafiosi, se Mori e Subranni potevano avere interesse a preservare la libertà di Provenzano, ciò ben poteva essere motivato dal convincimento che la leadership di Provenzano, meglio di qualsiasi ipotetico e improbabile patto, avrebbe di fatto garantito contro il rischio del prevalere di pulsioni stragiste o di un ritorno alla linea dura di contrapposizione violenta allo Stato”.
Lo scrive la Corte d’Assise d’Appello nella sentenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia sostenendo che i carabinieri avrebbero voluto “favorire la latitanza di Provenzano in modo soft”.
“V’erano dunque indicibili ragioni di ‘interesse nazionale’ a non sconvolgere gli equilibri di potere interni a Cosa Nostra che sancivano l’egemonia di Provenzano e della sua strategia dell’invisibilità o della sommersione – spiegano -, almeno fino a che fosse stata questa la linea imposta a tutta l’organizzazione.
Un superiore interesse spingeva ad essere alleati del proprio nemico per contrastare un nemico ancora più pericoloso”.