di Redazione
La Procura di Palermo ha chiesto la pena di 7 anni per il deputato regionale Riccardo Gennuso e di 6 anni e 4 mesi per il padre Pippo, che ha ricoperto la stessa carica all’Ars. Padre e figlio hanno da sempre respinto tutte le accuse. Al centro del processo ci sono le presunte minacce a 3 dipendenti della sala bingo “Magic Star” di via Villagrazia perché rinunciassero ai due terzi della loro liquidazione. Imputato pure un sindacalista.
Secondo la Procura, avrebbero costretto tre ex dipendenti della sala bingo “Magic Sar” di via Villagrazia ad accettare e firmare una transazione con la quale avrebbero dovuto rinunciare a due terzi della loro liquidazione, pena la riduzione dell’orario di lavoro da 9 a 3 ore giornaliere. Un’estorsione, secondo il sostituto procuratore Alfredo Gagliardi, per la quale oggi ha chiesto al tribunale la condanna del deputato regionale di Forza Italia Riccardo Gennuso e del padre Pippo Gennuso, che ha ricoperto la stessa carica all’Ars, titolari dell’attività dal 2015, e di altri due imputati.
La requisitoria è arrivata dopo 5 anni dal rinvio a giudizio e a ben 9 dai fatti al centro del processo. Nello specifico il pm ha chiesto 7 anni per Riccardo Gennuso, 6 anni e 8 mesi per suo padre, ma anche 6 anni e 4 mesi per Leonardo Burgio (titolare della precedente gestione), e 6 anni e 5 mesi per il sindacalista della Cildi, Antonino Bignardelli. Gli ultimi due rispondono anche di truffa perché – secondo l’accusa – avrebbero raggirato gli impiegati facendo credere loro che la società stava per dichiarare il fallimento e che dunque per loro l’unica via d’uscita sarebbe stata quella di rinunciare a una parte dei soldi.
Pippo Gennuso, che all’epoca dell’inchiesta era in carica all’Ars, ha sempre respinto le accuse, sostenendo che né lui né suo figlio “eravamo proprietari del bingo” e sottolineando che “non c’è stata nessuna minaccia perché tutti i lavoratori hanno firmato l’accordo assistiti dal sindacato. La trattativa è stata fatta dagli ex proprietari”. I lavoratori si sono costituiti parte civile con l’assistenza degli avvocati Michele Calantropo, Serena Romano, Alessandra Nocera, Francesca Cellura e Spedale.
“O bevete o affogate”, “ti conviene che ti prendi questi soldi perché non solo non vedrai più soldi, ma non ti farò mai lavorare. Sai chi sono io. Ricordati che hai due figli da campare” e ancora “troverete tutte le porte chiuse, dove andrete a lavorare?”. Sarebbero queste le minacce ricevute dagli ex dipendenti del bingo per sottoscrivere la transazione e rinunciare ai due terzi della loro liquidazione. In un caso da 22.500 euro si sarebbe così passati a 7 mila, in un altro da 20 mila euro a circa 6 mila e nell’ultimo il lavoratore avrebbe dovuto dichiarare di aver ricevuto i soldi, senza però intascare proprio nulla. Come emerso durante le indagini, quindici dipendenti decisero di firmare l’accorso, mentre questi tre denunciarono invece le presunte pressioni.