C’è un blackout di comunicazione tra ospedali e servizi sanitari territoriali, ovvero i medici di famiglia, che si consultano quando un paziente è ricoverato in appena il 15% dei casi, mentre in otto casi su dieci i pazienti arrivano in reparto senza che si sappia nulla dei loro trascorsi in fatto di salute in quanto il fascicolo sanitario elettronico è aggiornato appena una volta su cinque.
La conseguenza è pesante: in media tre ricoveri su 10 si sarebbero potuti evitare con una migliore presa in carico dei pazienti da parte dei servizi territoriali. Il che in numeri assoluti significa 2 milioni e 250 mila ricoveri evitabili l’anno, pari a uno spreco di circa 6 miliardi, calcolando che il costo medio di un ricovero è di circa 3mila euro. È questa la fotografia del muro che separa in sanità ospedali e territorio, scattata dall’indagine condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di tutte le Regioni, e presentata in occasione del 29/mo congresso nazionale che si apre oggi a Rimini.
Fadoi punta i riflettori anche su un altro fenomeno, legato sempre ai ricoveri impropri: sono in media il 20% quelli di natura ‘sociale’ più che sanitaria. Ossia di pazienti che si sarebbero potuti assistere anche a casa se solo esistesse un servizio di assistenza domiciliare o una rete familiare in grado di accudirli.
Ospedali e sanità territoriale, affermano i medici internisti, rappresentano dunque due mondi quasi incomunicabili che finiscono per generare accessi impropri ai pronto soccorso e ricoveri evitabili. Problemi che solo per il 7,6% dei medici potranno essere risolti da ospedali e case di comunità, il fulcro della riforma sanitaria territoriale finanziata complessivamente con oltre 7 miliardi del Pnrr.
In 1 ospedale su 3 oltre 40% ricoveri per carenze sul territorio
Nel 34,1% delle strutture si sarebbero invece potuti evitare circa il 30% dei ricoveri con una migliore presa in carico dei pazienti nel territorio.
Percentuale di ricoveri impropri che è di più del 40% nel 33,7% dei nosocomi, mentre in altre realtà ospedaliere la quota di ricoveri evitabili oscilla fra il 10 e il 20%. Solo l’1,8% non segnala ricoveri impropri per carenze della sanità territoriale.
Variegate le azioni che a giudizio dei medici internisti ospedalieri avrebbero potuto evitare ai pazienti di soggiornare in reparto. Per il 32,6% servirebbe un maggior rapporto tra ospedale e territorio, per un altro 32,4% una maggiore offerta di assistenza domiciliare integrata, per il 21% basterebbero le nuove case e ospedali di comunità e per il 13,9% sarebbe necessaria una apertura più continuativa degli studi dei medici di famiglia.
Solo 20%medici famiglia aggiorna fascicolo sanitario elettronico
Appena il 20% dei medici del territorio, ovvero i medici di famiglia, aggiorna il fascicolo sanitario elettronico ed i consulti con i medici ospedalieri sono rari o inesistenti nell’85% dei casi. Il Fascicolo sanitario elettronico dovrebbe contenere tutta la storia sanitaria di un paziente, dalle patologie alle terapie che si assumono al momento di entrare in ospedale. Questo sarebbe appunto lo strumento, afferma Fadoi, che consentirebbe a ospedale e medici territoriali di comunicare pur a distanza.
Tuttavia, rileva l’indagine, i medici del territorio, anche per farraginosità burocratiche, non riescano ad aggiornarlo nel 39,3% dei casi o lo fanno raramente nel 41% dei casi.
Le stesse alte percentuali si ritrovano quando si tratta di rilevare il dialogo tra medici ospedalieri e territoriali. I primi nel 71% dei casi si consultano solo raramente con i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali quando un paziente viene ricoverato, mentre per il 13,7% il consulto non avviene proprio mai. Si verifica invece abbastanza frequentemente appena nel 15% dei casi. La consulenza si attiva sempre appena lo 0,2% delle volte.
Fadoi, Case comunità non risolutive e manca link con ospedali
La riforma della sanità territoriale, con i previsti ospedali e Case di comunità, difficilmente riuscirà a risolvere il problema dei ricoveri impropri: mancano disposizioni su chi debba lavorarci e in quale rapporto con l’ospedale. Queste strutture, infatti, per il 38,7% dei medici internisti ospedalieri non riusciranno ad evitare il ripetersi di ricoveri ed accessi impropri ai pronto soccorso, mentre per il 29,4% potranno influire positivamente ma a patto che la riforma venga modificata. Lo evidenzia l’indagine promossa dalla Fadoi (Federazione dei medici internisti ospedalieri) su un campione rappresentativo di tutte le Regioni.
La riforma della sanità territoriale è appunto centrata sui maxi ambulatori aperti sette giorni su sette, ossia le case di comunità e gli ospedali sempre di comunità che dovrebbero accudire i pazienti che possono essere dimessi ma non sono in grado di tornare a casa propria. Per il 42,1% degli internisti ospedalieri occorre prima di tutto un provvedimento, ancora mancante, che fornisca indicazioni precise su quali professionisti del territorio e con quale modalità debbano lavorare nelle nuove strutture, mentre per il 27,9% occorrono regole che disegnino il rapporto tra queste strutture e l’ospedale. Per un altro 20,5% servono piattaforme informatiche comuni tra ospedale e strutture del territorio, perché anche qualora i medici schierati in queste ultime aggiornassero il fascicolo sanitario elettronico, oggi in molti casi i sistemi informatici delle varie strutture sanitarie, anche di una stessa regione, non comunicano tra loro. Solo per il 9,5% servirebbero invece finanziamenti specifici per il personale delle strutture territoriali.
“L’indagine dimostra numeri alla mano lo scollamento pressoché totale tra ospedale e territorio. Anacronistico in un Paese che invecchiando vede aumentare il numero di pazienti cronici con poli-patologie che richiedono una presa in carico globale, che ricomprenda sia la fase che precede il ricovero sia quella seguente”, afferma il presidente Fadoi, Francesco Dentali. “Purtroppo, come segnalano a larga maggioranza i nostri medici, questa frattura non sarà ricucita dalla riforma della sanità territoriale finanziata con i soldi del Pnrr, che ha disegnato le mura delle nuove strutture, senza definire chi ci lavora e come si rapportino con l’ospedale”.
“Come mostrano i risultati della survey, servono regole chiare e stabilite a livello nazionale che leghino tutta la filiera del Servizio sanitario nazionale.
Oggi invece – afferma Dario Manfellotto, presidente della Fondazione Fadoi – i percorsi di cura sono frammentati e spesso si formano dei colli di bottiglia che intasano le strutture”.
Per questo, prosegue, “servirà agevolare il percorso casa-territorio-ospedale-post acuzie-riabilitazione-casa, con regole d’ingaggio strette e rigorose. La regìa non la può fare in modo burocratico una Centrale operativa territoriale, ma una équipe di professionisti competenti. E poi un ospedale di comunità a ‘quasi totale gestione infermieristica’ non può funzionare, per cui si rende necessaria un via nuova, che – conclude – coinvolga gli specialisti dell’ospedale in collaborazione con i medici del territorio, con percorsi assistenziali ben definiti”.