Parigi 24 – Carini abbandona contro Khelif, si inginocchia: ‘Un pugno mi ha fatto male, esco a testa alta’

Pochi secondi, poi la decisione di abbandonare.

Angela Carini ha scelto di non affrontare il match contro la pugile iper-sessuale algerina Imane Khelif. Poi, dopo che i giudici hanno validato la sua scelta con il verdetto ufficiale, l’azzurra si è inginocchiata sul ring e ha pianto. “Ero salita sul ring per combattere. Non mi sono arresa, ma un pugno mi ha fatto troppo male e dunque ho detto basta”. Angela Carini spiega così, ancora in lacrime, il suo repentino abbandono nel match contro la pugile Imane Khelif. “Esco a testa alta”, ha aggiunto l’azzurra.

“Non ero d’accordo con la scelta del 2021, non sono d’accordo oggi, ringrazio Angela Carini per come si è battuta anche non siamo riusciti a vederla, abbiamo visto solo dei piccoli flash…”. “Si è ritirata” fanno notare i giornalisti alla premier Giorgia Meloni a Casa Italia e lei aggiunge: “Mi dispiace ancora di più, mi ero emozionata ieri quando ha scritto combatterò’ perché in queste cose sicuramente conta anche la dedizione, la testa, il carattere. Però poi conta anche poter competere ad armi pari. E dal mio punto di vista non era una gara pari”. “Sono anni che cerco di spiegare che alcune tesi portate all’estremo rischiano di impattare soprattutto sui diritti delle donne” ha detto Meloni, a proposito del combattimento tra la pugilatrice azzurra Angela Carini e l’algerina Imane Khelif. “Io penso che atleti che hanno caratteristiche genetiche maschili, non debbano essere ammessi alle gare femminili – ha aggiunto Meloni – E non perché si voglia discriminare qualcuno, ma per tutelare il diritto delle atlete a poter competere ad armi pari”.
“Il pianto inconsolabile di Angela ci colpisce ma il suo ritiro le fa onore. L’aspetto in Senato per abbracciarla”. A scriverlo su X, sotto la fotografia della pugile Angela Carini in ginocchio a terra, è il presidente del Senato Ignazio La Russa.

La vigilia dell’incontro. Non salite su quel ring. La porta che molti non vorrebbero aprire, forse perfino il Cio, è un incontro di pugilato tra l’italiana Angela Carini e l’algerina Imane Khelif. E ancora prima, un match verbale tra chi attacca le Olimpiadi per la presenza di Imane, esclusa dai mondiali perché il suo Dna ha un cromosoma maschile, chi si dice preoccupato e chi difende la scelta. Attesa per l’annunciato incontro dei pesi welter, e lo sport azzurro resta col fiato sospeso.
I colpi sono già partiti, prima di mettere i guantoni, e al momento non ci sono né vincenti né perdenti ai punti. Il Coni ha chiesto al Cio che “i diritti di tutti gli atleti siano conformi alla carta olimpica e ai regolamenti sanitari”, ovvero alle regole sulla complicata questione del gender. La boxe italiana, già sotto choc per le eliminazioni dei suoi azzurri di punta, è preoccupata dal pugno di pietra della Khelif, incrociata da Carini nei collegiali di Assisi, e che la messicana Brianda Tamara definì “peggio di quelli di tanti sparring partner uomini”. La stampa algerina si indigna, perche’ l’Italia parla di ‘transgender’, ma la polemica politica cominciata ialla conferma del Cio che Khelif era ammessa al torneo come l’altra pugliatrice dal testosterone alto, Lin Yu Ting di Taiwan, prosegue e alza i toni.

Prima il tweet antitransgender olimpici di Jk Rowling – da Harry Potter e Imane Khelif – e l’indignazione di Matteo Salvini poi l’intervento del ministro per la famiglia, Eugenia Roccella. “Desta preoccupazione la partecipazione di due pugili transgeder ai Giochi, dopo che non erano stati ammessi in altre competizioni internazionali”, le sue parole. “Per Angela Carini non sara’ garantita l’equa competizione”, dice a Parigi il ministro dello sport, Andrea Abodi, mentre dall’Italia insorge contro il Cio tutto il centrodestra. “Non è un’atleta transgender, ma un intersex”, replica gaynet.

Al Comitato olimpico internazionale, intanto, non interessa sapere se l’algerina è transgender o iperandrogina come Caster Semenya, la fondista sudafricana che diventò un caso mondiale. Da parte sua, il Cio aveva chiuso ogni questione già sei giorni fa, quando dal pugilato italiano erano emerse le prime perplessità al sorteggio: per noi, la risposta Cio, Khelif è donna. E qui emerge l’intrigo delle regole. Nel 2023 la federazione mondiale escluse l’algerina dalla finale mondiale perché l’esame del Dna rivelò la presenza del gene XY, proprio degli uomini:

“Garantiamo l’equa competizione”. Posizione ribadita dall’Iba, con un comunicato che misura il peso della polemica (oltre che della rivalità col Cio): nessuna rivelazione sul tipo di test effettuati nel 2023, la differenziazione dalle regole di Losanna, e la considerazione che l’ammissione “solleva seri interrogativi sul principio dell’equa competizione e della salvaguardia degli atleti”. Il Cio però si basa sul livello del testosterone, l’ormone della forza maschile, unico criterio – a suo dire – per definire se un’atleta donna è avvantaggiata, anche nelle Olimpiadi dell’inclusione.
In sostanza, allo sport mondiale non interessa se sei uomo o donna, se hai scelto una transizione come Lia Thomas, l’americana del nuoto, o Laurel Hubbard, neozelandese e prima atleta trans ai Giochi, tre anni fa. Interessa solo se da donna hai troppa forza maschile per la tua avversaria. Una scelta ad esempio contestata da campioni senza tempo come Martina Navratilova, una vita a difesa dei diritti omosessuali. Ma il livello del testosterone di Khelif è da donna, per il Cio. “Non posso che adeguarmi alle regole delle Olimpiadi”, si limita a dire Carini: per lei la preoccupazione del giorno primo è un lusso illecito, da nascondere. E dallo staff del pugilato si assicura che sarà sul ring. “Ci affidiamo al Coni, aspettiamo la risposta del Cio”, allarga le braccia il presidente della federboxe, D’Ambrosi. Che in realtà è già scritta da tempo: l’unico giudizio che conta, è quello dei cinque arbitri a bordo ring.

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