Si è concluso con la condanna dei 3 imputati il processo scaturito dalla sanguinosa rapina consumata la sera del 4 novembre 2016 ai danni della gioielleria Piccione di viale Zecchino. La sentenza è stata emessa dal gup del tribunale aretuseo, Luisa Intini, che ha accolto in buona parte le richieste del rappresentante della pubblica accusa. Ha rimediato la condanna a 6 anni di reclusione il 24enne Antonino Mauro, difeso dall’avv. Junio Celesti, che oltre al reato di rapina, doveva rispondere di porto illegale di armi, lesioni personali e detenzione di sostanze stupefacenti. Sono stati condannati a 5 anni ciascuno di reclusione gli altri due componenti del commando, la 25enne Shajla Tringali, e il 32enne Andrea Caniglia, residente a Scordia.
Le indagini sono state coordinate dal sostituto procuratore Vincenzo Nitti e poste in essere dai poliziotti della squadra mobile. Secondo la ricostruzione dei fatti resa dagli inquirenti, quella sera una giovane coppia, Caniglia e Tringali, si era recata in gioielleria fingendo di mostrarsi interessata all’acquisto di un anello con diamante. Mentre il gioielliere era distratto dai clienti, due persone erano entrate nel negozio armati di una pistola e a volto travisato. Uno di loro, dopo aver picchiato il gioielliere con calci e pugni e averlo colpito al capo con il calcio della pistola, aveva puntato l’arma nei confronti della vittima, costringendola a consegnare loro i gioielli che aveva prelevato dalla cassaforte per mostrarli ai clienti per un valore pari a circa 74mila euro oltre il suo stesso telefono cellulare.
Durante la fuga, il titolare della gioielleria era riuscito ad afferrare il cappuccio della felpa indossata da uno dei due, scoprendone il volto. Le telecamere del sistema di videosorveglianza della gioielleria avevano immortalato i due soggetti e uno di essi era stato ritenuto molto simile a Mauro.
Le analisi biologiche eseguite sul passamontagna avevano evidenziato la presenza del Dna una traccia minima compatibile con quello di Mauro. L’attività di indagine, si è avvalsa delle intercettazioni ambientali e telefoniche, evidenziando un quadro indiziario di responsabilità anche a carico dei due avventori Caniglia e Tringali. Nelle conversazioni Mauro temeva di essere scoperto mentre uno degli indagati confessava il proprio coinvolgimento.