“Casa Zaccheo si pone come segno della continuità del lavoro svolto in questi anni dalla Caritas cittadina – ha detto l’arcivescovo di Siracusa, mons. Francesco Lomanto -. E come segno della sinodalità sociale. Oggi la Chiesa è impegnata a compiere un cammino sinodale come comunità cristiana ma possiamo estendere questi valori a tutta la nostra vita. E’ un segno di grande attenzione alla dignità della persona per costruire innanzitutto relazioni. La casa è il segno delle relazioni, dell’incontro, della crescita, dello scambio, della condivisione e dunque del camminare insieme. Il frutto che speriamo è quello del reinserimento, della rieducazione per vivere un giubileo esteso a tutta la nostra vita”.
La Caritas di Augusta da tanti anni porta avanti il progetto di accoglienza dei detenuti sul territorio. Ma fino ad ora erano detenuti singoli. Adesso l’accoglienza è cambiata. “E’ in continuità con un progetto avviato da tanti anni all’interno delle comunità ecclesiali per accogliere i detenuti in permesso premio – spiega don Helenio Schettini, referente della Caritas cittadina -. Oggi abbiamo trovato una sistemazione più idonea per le esigenze delle famiglie. L’esperienza di accoglienza è consolidata ed è portata avanti dai volontari delle Caritas di Augusta che vivono un cammino insieme nel servizio alla carità. Un’iniziativa forte che ci permette di crescere a servizio dei fratelli ma anche nella comunione tra le realtà ecclesiali di Augusta”.
L’obiettivo è quello di mettere insieme tutte le forze che lavorano sia all’interno del carcere sia all’esterno. Sensibilizzare il territorio affinché si possano avviare progetti di socializzazione di educazione e inserimento. “Oggi è necessario fare rete, dobbiamo andare insieme, dobbiamo costruire insieme, se vogliamo creare qualcosa che possa durare del tempo e che possa produrre molti frutti – spiega don Andrea Zappulla, direttore dell’Ufficio di Pastorale Penitenziaria -. Il nome non l’abbiamo scelto a caso: Zaccheo è un uomo curioso che appena incontra Gesù lo accoglie nella propria casa e ha una grandissima conversione: è il cambiamento di vita, l’incontro con Gesù cambia radicalmente la vita di quest’uomo. Mi auguro che i fratelli detenuti possano fare la stessa esperienza di Zaccheo”. E poi l’accoglienza come “apertura del cuore, apertura dell’anima. E noi vogliamo fare spazio nella nostra vita ecclesiale a questi fratelli perché possano vivere un momento di rinascita”. Poi la condivisione “non solo dei beni materiali ma anche del tempo, bene prezioso che abbiamo tutti. I volontari in questi mesi hanno aiutato a far diventare Casa Zaccheo un luogo familiare. Non istituzionale, non una casa fredda, angusta, gelida, ma un luogo in cui ciascuno possa fare esperienza di famiglia. La condivisione del tempo è appunto dei tanti volontari che ruotano attorno alla missione di casa Zaccheo, ma la condivisione degli spazi penso ai detenuti con la loro famiglia. Ma anche del tempo insieme con noi. Quando i fratelli detenuti sono a Casa Zaccheo insieme alle loro famiglie, noi volontari andiamo a trovarli, ci prendiamo il caffè, ascoltiamo le loro storie, raccogliamo le loro lacrime: diventa un modo per essere dono l’uno per l’altro. E infine l’ultimo aspetto della missione è quello della cura: la cura della persona fondamentale in un mondo come il nostro, spersonalizzato. Casa Zaccheo vuole essere anche il luogo in cui attraverso la cura delle relazioni familiari con i detenuti si possa trovare ecco, quell’aspetto importante per ripartire”.
Don Helenio Schettini ha portato un esempio concreto di comunione: ”La sera di Capodanno mi sono sentito suonare in canonica ed era la famiglia che era accolta in casa Zaccheo che mi aveva portato qualcosa da condividere: è stato un gesto bellissimo perché davvero diventa la bellezza di chi crea relazioni vicendevoli e di donazione reciproca. Quella carità concreta che ci rende fratelli in Cristo. Ad Augusta non accogliamo solo presso casa Zaccheo ma anche presso il centro Caritas ancora continua l’accoglienza dei nostri fratelli soprattutto di quelli che sono senza famiglie. E lì c’è un impegno più gravoso: perché se qui le famiglie poi si prendono cura di tanti aspetti lì invece sono le comunità che si prendono cura di assistere i detenuti nei pasti, di tutto ciò che è necessario anche nella compagnia che è necessaria a queste persone sole quando arrivano al centro Caritas”.
“La storia di questa Caritas cittadina ha profonde radici – ha detto padre Angelo Saraceno -. Dal terremoto del 1990 abbiamo sperimentato che la vera fede è quando impariamo a prenderci cura del più bisognoso. E ci sono state tante persone più bisognose di noi. Persone rimaste senza casa. E poi con il villaggio dei container dove abbiamo sperimentato le varie povertà. Ma la cosa più importante è il cammino fatto insieme. Il dialogo, le relazioni, prendersi cura non solo ognuno della propria parrocchia. E questo ci ha portato a porre un primo gesto che sembrava fosse urgente. Poter creare una mensa per i più poveri. Poi abbiamo scoperto che nel nostro territorio c’era la realtà del carcere che noi conoscevamo come una struttura sulla strada di Brucoli. Ci hanno chiesto se qualcuno era disposto a prendere i parenti dei carcerati, che col pullman si fermano al centro storico, e accompagnarli fino al carcere. Ed è iniziato il primo servizio. Accogliere non è semplicemente dare una casa: è mettere noi stessi al servizio. Il carcere non è espiazione ma è recupero, reinserimento e fiducia”.