Accusa e difesa preparano le “armi” in vista del processo di secondo grado a carico di Christian Leonardi che si terrà davanti alla corte d’assise d’appello di Catania. L’uomo, come si ricorderà, è stato condannato dalla corte d’assise aretusea alla pena dell’ergastolo per avere provocato la morte della moglie, Eligia Ardita, al culmine di un litigio avvenuto la sera del 19 gennaio 2016. L’appello è proposto sia dalla difesa dell’imputato sia dai patrocinatori della parte civile, soprattutto quella che rappresenta i genitori dell’infermiera siracusana.
Le avvocatesse Felicia Mancini e Vera Benini, dopo avere letto le motivazioni della sentenza, hanno affermato di esserci tutte le ragioni per poterla impugnare e cercare di ribaltare il verdetto in secondo grado. Con i motivi d’appello, sostanzialmente, ritengono non essere stata provata l’accusa di omicidio a carico del loro assistito ribadendo il concetto che la donna sia deceduta per cause del tutto naturali come sempre ha sostenuto Leonardi con la ritrattazione delle confessioni fatte ai carabinieri del nucleo investigativo e al pm Fabio Scavone. In subordine, chiedono una pena lieve nei confronti dell’imputato, atteso che non avesse mai manifestato l’intenzione di fare del male alla moglie e alla bimba che portava in grembo.
Ed è proprio sulla piccola Giulia che si incentrano i motivi d’appello della famiglia Ardita. Sin da quando le indagini hanno preso la piega delle responsabilità del marito, l’avv. Francesco Villardita ha insistito perché venisse riconosciuto oltre che l’omicidio della donna anche l’infanticidio. “Abbiamo letto insieme con il nostro legale – dice il padre di Eligia, Tino Ardita – quanto recita l’art. 578 del codice penale che contempla l’infanticidio qualora per la morte del feto vi sia il concorso di soggetti estranei come il marito ne caso di Eligia”.