CATANIA. “Erano all’inizio 500 euro al mese, dopo divennero 1000”. E’ Francesco Tornatore, proprietario dell’omonima cantina a Castiglione di Sicilia, tra i più apprezzati imprenditori del settore vitivinicolo, a ricostruire in aula le richieste estorsive di cui è stato vittima per diversi anni. L’uomo è testimone d’accusa nel processo “Santa Barbara”, che vede alla sbarra alcuni presunti esponenti del clan Brunetto, tra cui Carmeluccio, quel Pietro Carmelo Olivieri ritenuto dagli inquirenti il reggente del clan, dopo la scomparsa nel 2013 del boss Paolo Brunetto. A chiedergli quelle somme sarebbe stato Vincenzo Lomonaco, già condannato a 20 anni in primo grado con il rito abbreviato, assunto per circa quattro anni in azienda come bracciante agricolo. Poco dopo iniziarono le prime richieste. “Avevo subito una serie di furti e danneggiamenti, tutti denunciati – racconta l’imprenditore – Una volta scomparve un camion, la volta successiva il gasolio e la batteria. Fu allora che Lomonaco mi chiese, oltre allo stipendio, 500 euro, poi divenuti 1000, per porre fine a quegli episodi. Mi propose una specie di guardiania. In un certo senso – dichiara – mi sentii costretto ad accettare”.
Da quel momento l’azienda non avrebbe più subito alcunché. Alle richieste incalzanti del pubblico ministero Alessandro La Rosa sui motivi che lo avrebbero spinto a piegarsi a quelle richieste, il testimone ammette: “Ho avuto paura per me e la mia famiglia. Era una somma che potevo elargire senza grossi problemi – spiega – Lo sentivo più come un peso morale che materiale”.
Poco dopo la cifra richiesta raddoppia. Quei 6000 euro in più all’anno dovevano essere versati, secondo quanto riferito da Vincenzo Lomonaco all’imprenditore, ad alcuni “amici” per farli stare tranquilli. Anche la seconda richiesta viene assecondata.
“Avevo paura di ritorsioni”, spiega ancora in aula il teste. I soldi non sarebbero mai stati consegnati mese per mese, alle date di scadenza indicate. “Li davo – prosegue – quando avevo la disponibilità dei contanti. A volte 2000 euro tutti insieme”.
Nel 2013, quando Lomonaco viene arrestato, l’imprenditore pone fine ai pagamenti. “Tornò per essere riassunto – ricostruisce ancora il teste – Ma io capii l’errore commesso e non l’ho più ripreso in azienda né gli ho mai più dato denaro nonostante le sollecitazioni e poi le minacce”. Da quel momento sarebbero state recapitate bottiglie incendiarie. Nella prossima udienza saranno sentiti altri imprenditori vitivinicoli.