“Non ho inviato alcuna missiva e non ho alcun rapporto con i Calafiore”. Il boss Antonio Aparo ha rigettato ogni addebito rispetto alle contestazioni mosse dalla direzione distrettuale antimafia di Catania sulla ricostituzione del clan omonimo e sull’incarico di reggenza affidato a Massimo Calafiore, nell’ambito dell’operazione dei carabinieri denominata “San Paolo”. Aparo, che è assistito dall’avvocato Antonino Campisi, si è sottoposto per oltre un’ora e mezzo ad interrogatorio di garanzia. Collegato in remoto dal carcere di Opera a Milano, dove si trova detenuto, Aparo ha chiarito al gip del tribunale etneo, Carlo Umberto Cannella, ogni aspetto delle contestazioni contenute in oltre 700 pagine di cui si compone l’ordinanza di custodia cautelare. In particolare, ha riferito di non avere avuto mai alcun rapporto con Massimo Calafiore, colui che gli inquirenti indicano come il reggente del clan Aparo sostenendo che le missive oggetto della contestazione non erano indirizzate all’indagato quanto al figlio e che il contenuto non sarebbe riferibile all’organizzazione delle attività illecite. Antonio Aparo ha riferito al giudice di essere pronto a essere nuovamente interrogato dai magistrati della Dda di Catania per chiarire ulteriormente la propria posizione.
Si è avvalso, invece, della facoltà di non rispondere, Massimo Calafiore, il cui legale, l’avvocato Domenico Mignosa, ha preannunciato di ricorrere al tribunale del riesame di Catania per l’annullamento dell’arresto del proprio assistito, tradotto nel carcere di Bicocca. Anche il netino Giuseppe Crispino, ha fatto scena muta davanti al gip. Crispino è accusato di avere dato una lezione a un suo concittadino, reo di avere truffato un veterinario.