Coronavirus: servono lockdown locali e per età fino al vaccino. La tesi di una ricerca italiana

Molto meglio gestire i lockdown in maniera mirata, regione per regione se non comune per comune, cercando di tenere a casa il più possibile i giovani e gli anziani. Anche se indovinare i tempi e le modalità giuste di un lockdown è davvero cruciale. È sufficiente un ritardo o un anticipo, o comunque adottare una scelta sbagliata in merito a quali aree liberare prima o dopo, o in relazione alla categoria di persone, per andare incontro ad effetti nefasti come un ritorno dell’infezione con picchi anche più alti di quelli che abbiamo conosciuto nella primavera scorsa.

Non sono solo gli scienziati dell’Ispi ad evidenziare la necessità di un intervento selettivo a protezione di specifiche fasce di età come per esempio gli anziani, in uno studio pubblicato a maggio. Lo ha messo nero su bianco già lo scorso mese di aprile un gruppo di ricercatori italiani guidati da Antonio Scala, presidente della Big Data in Health Society e ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche, in un articolo che è stato poi pubblicato lo scorso mese di agosto su Nature Scientific Reports.

I ricercatori hanno costruito ed analizzato degli scenari coerenti con i dati scientifici ed epidemiologici raccolti sulle fasi iniziali della pandemia Covid-19 in Italia ed hanno verificato, numeri alla mano, le conseguenze di una serie di scelte possibili per uscire dai lockdown. Le ipotesi, che sono state vagliate, sono infatti diverse.

Si può decidere di far uscire dal lockdown tutto il Paese in una sola volta, oppure un po’ per volta, magari regione per regione. Infine, si può pensare di far uscire dal lockdown solo determinati gruppi di cittadini, come per esempio i giovani, o quelli in età da lavoro, o gli anziani. Sono tutte scelte plausibili di cui i ricercatori hanno valutato l’impatto specifico sulla evoluzione della curva epidemica. Letti alla luce del tempo trascorso – da aprile ad oggi – le analisi ci aiutano a capire anche gli scenari cui dovremo far fronte nelle prossime settimane.

Gli scenari che emergono dallo Studio

Uno dei primi risultati che emerge da questa ricerca è che la tempestività di applicazione delle misure di contenimento e di distanziamento sociale, pur avendo l’effetto di ritardare i tempi, rischia di incidere poco sull’andamento generale dell’epidemia che può ripartire una volta che tali misure vengano allentate. Una seconda ondata è quello che infatti sta avvenendo in queste settimane.

Ugualmente importante, ai fini di uno scenario sostenibile anche il modo con cui viene applicato il lockdown: come si legge nell’articolo, una quarantena troppo stretta può infatti dare la falsa illusione di aver debellato l’epidemia, per vederla poi riprendere come se nulla fosse successo una volta rilassati i vincoli: è purtroppo lo scenario davanti al quale ci siamo trovati dopo la pausa dell’estate.

“Se si riuscisse – commentano i ricercatori – a calibrare con efficacia mirata la percentuale di popolazione isolata e la sua specifica articolazione in termini territoriali e in classi di età, senza interrompere l’economia, l’epidemia potrebbe essere contenuta fino alla creazione, produzione e distribuzione di un vaccino”. La ricerca puntualizza inoltre l’importanza che ha il raccogliere dati regionali e provinciali, per evitare che “le dinamiche locali rischino di essere mascherate osservando il sistema nazionale aggregato”.

L’osservazione delle dinamiche regionali, corroborata dall’analisi di mobilità inter-regionale basata sui dati Facebook, fa concludere ai ricercatori che, mentre la mobilità è probabilmente la causa dei ritardi nella partenza dell’epidemia osservati fra le regioni, “il contagio si sviluppa indipendentemente all’interno di ciascuna regione una volta iniziata l’epidemia“, ovvero “dopo che sono iniziate le epidemie all’interno delle singole regioni, l’influenza dei contatti con altre regioni diventa presto irrilevante”.

Questo argomento indica la possibilità di poter continuare a mantenere – seppur con le procedure ed i livelli di sicurezza adeguati – i collegamenti ed i trasporti essenziali senza introdurre nuovi rischi. Argomenti analoghi possono essere applicati anche in ambito internazionale, dove le dinamiche delle epidemie nei vari i paesi sono analoghe a quelle tra le nostre regioni: arrivata l’epidemia, più che sulle frontiere la lotta va fatta all’interno. Le nazioni colpite per prime, possono quindi anche uscire per prime dall’epidemia ed aiutare le altre facilitando la ripresa globale.

La ricerca ha poi esaminato se sia migliore, in termini di mitigazione del contagio, far uscire dal blocco ogni singola regione, rispettando la specificità di ciascuna epidemia in atto, o se invece, procedere a uno sblocco generalizzato e simultaneo su tutto il territorio nazionale. “I risultati mostrano che molto probabilmente, sarebbe meglio uscire dal lockdown con un calendario cadenzato sulla base dell’evoluzione dell’epidemia di ogni singola regione”.

“Ancor meglio sarebbe cadenzare tale calendario con dati a granularità più fine, possibilmente a livello di singoli focolai – ha commentato Antonio Scala – è un peccato che le scelte approssimative che hanno portato all’adozione dell’app Immuni senza prevederne l’integrazione con il SSN, ma soprattutto senza curare la comunicazione necessaria ci hanno sottratto uno strumento potenzialmente vincente. Perché è vero che le missioni strategiche sono quelle mirate nello spazio e nel tempo, ma è anche vero che sono efficaci solo si evita di arrivare oltre i livelli di soglia. E per fare questo bisogna giocare d’anticipo, non dopo che i buoi sono scappati dalla stalla”. Fattore forse anche più importante appare la struttura dei contatti sociali: ignorarla, potrebbe portare a una grave sottovalutazione degli effetti post-blocco.

“Le strategie basate sulla classe di età – si legge nel paper – possono aiutare a mitigare gli effetti di rimbalzo dell’epidemia”. Dai dati emerge “che sia i giovani (0-19) che gli anziani (70+) sono le classi che possono avere una maggiore influenza sulla fase post-lockdown“. Dall’analisi dell’impatto di politiche di lockdown per fasce di età, appare quindi possibile limitare la possibilità di una ripresa del contagio pur rilassando le misure di blocco per la classi in età lavorativa.

“Bisogna ricordarsi sempre che i modelli epidemiologici, quando applicati a situazioni nuove, servono più all’analisi di scenari che a delle vere predizioni – ha aggiunto Scala -. L’analisi tramite modelli ci aiuta ad individuare possibili leve di controllo dell’epidemia, ma solo la conoscenza del territorio permette di non prendere decisioni apparentemente razionali ma controproducenti nei fatti. Si tratta di decisioni complesse, dove l’esperienza sul campo di un medico può essere affiancata ma non sostituita dai calcoli matematici”.

“Ancor più –  aggiunge – bisogna evitare di prendere decisioni in base ad un singolo modello: indicazioni come quella di isolare le fasce più anziane possono avere una loro validità numerica, ma non tengono conto di fattori rilevanti come l’impatto psicologico che hanno tali restrizioni su tali fasce. I numeri sono solo parte della storia: a quei numeri sono legati esseri umani, di cui va tutelata in primis la salute fisica ma anche quella psicologica legata non solo alla socialità ma anche alle prospettive economiche per il futuro”.

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