Politica – Mes, riforme, patrimoniale. Ormai siamo al tutti contro tutti: dentro la maggioranza, con il Partito Democratico schierato per il Mes assieme a Italia Viva ma contro i 5 stelle e pezzi della sinistra in attesa del voto di mercoledì 9 sulle comunicazioni di Conte; dentro i partiti, con le fibrillazioni interne ai pentastellati e i dissidenti dem in Senato che si organizzano contro la linea della segreteria sulle misure anti Covid; dentro il governo, dove i vertici si susseguono ormai senza soluzione di continuità, ma quasi mai arrivano a meta. Ma anche la ‘mina’ della patrimoniale, innescata da Nicola Fratoianni e Matteo Orfini, sconfessata dal Pd e riemersa, seppure con una pelle diversa, dopo le parole di Beppe Grillo.
M5s divisi, l’appello di Di Maio. Nella riunione notturna dei gruppi parlamentari pentastellati, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha sferzato i ribelli: “Non potete portare Conte al patibolo, serve responsabilità”. Sulla stessa lunghezza d’onda il reggente, Vito Crimi. Parole che non hanno placato i malumori interni, nonostante le rassicurazioni dei vertici che al Fondo salva stati nessuno vuole accedere. E c’è chi non esclude che, mercoledì prossimo, sulla risoluzione di maggioranza – che verrà presentata dopo le comunicazioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, riguardo al prossimo Consiglio Ue – ci sia qualcuno, fra i pentastellati, che possa sfilarsi dal voto, pronunciandosi contro o non partecipando. Tanto alla Camera, quanto al Senato. Potrebbero essere dai 5 agli 8 deputati e dai 4 ai 6 senatori, secondo quanto ventilano alcuni, anche se allo stato non c’è ancora niente di deciso
“È inevitabile chiedere a Conte una iniziativa”, spiega il vicesegretario Pd Andrea Orlando: “Abbiamo sostenuto tutte le indicazioni contenute nei 27 punti del programma e siamo stati leali. Adesso chiediamo la stessa lealtà agli altri, anche nei confronti di quegli italiani che con i tagli dei parlamentari e senza legge elettorale non saranno rappresentati”.
Ce n’è più che a sufficienza per aprire gli scenari più diversi, dalla crisi di governo al rimpasto (che tutti ufficialmente negano di volere), per arrivare al voto anticipato e tutti notano come la tela dell’esecutivo sia sempre più sfibrata ma a ogni ostacolo mostri una insospettabile tenuta. Quali di questi scenari finirà per realizzarsi dipende anche da come il paese, e Giuseppe Conte, affronteranno le festività natalizie. Perchè se il decreto Natale e il Dpcm saranno in grado di respingere la terza ondata di pandemia della quale si parla già da tempo, allora il premier vedrà rafforzata la propria posizione. Se così non fosse, però, la strada sarebbe segnata e gli occhi dei leader tornerebbero a guardare al Colle.
Il Capo dello Stato ha fatto capire fin qui e in molti modi che in caso di crisi aperta sulla riforma del Mes, non si metterebbe ad alambiccare trascinando una crisi di governo infinita. La legge elettorale è applicabile e le elezioni potrebbero paradossalmente non essere la via più lunga per arrivare a un chiarimento della situazione. Certo, bisognerebbe spiegare agli italiani perché si intende aprire una crisi in piena pandemia, e se la maggioranza cadesse sulla riforma del Mes ci sarebbe anche da spiegare a Bruxelles cosa intende fare l’Italia nei prossimi anni, se vuole davvero i fondi del Recovery, ad esempio, e come intende usarli.
Ma se fosse proprio una tema cruciale di politica estera a non avere i voti in Parlamento, tali voti non ci sarebbero nemmeno per sostenere alcun governo e dunque le urne sarebbero l’unica strada. I leader di maggioranza lo sanno bene e tremano soprattutto all’idea di mollare a un passo dal traguardo la plancia di comando. Sì, perchè quello a cui tutti aspirano, per un motivo o per l’altro, è quello di avere un ruolo – meglio se determinante – nell’elezione del Capo dello Stato e prima ancora nella gestione dei fondi del Next generation Ue.
Nei corridoi di Camera e Senato pochi scommettono su una caduta del governo mercoledì prossimo. Da Bruxelles hanno fatto sapere di non attendersi grandi slanci ma solo il minimo sindacale: la fine del veto alla riforma del Mes. Mercoledì sarà dunque un giorno cruciale per Giuseppe Conte: dovrà incassare il doppio voto di Camera e Senato sulle sue comunicazioni alla vigilia del Vertice Ue, dovrà salire al Colle per il tradizionale pranzo pre-vertice e dovrà attendere il voto definitivo della Camera sul dl migranti. Se il successo del Dpcm e del decreto di Natale sono la condizione minima perchè il governo possa andare avanti, tuttavia, questo non basta a raffreddare gli animi all’interno delle forze politiche che ne fanno parte.
Ora sono dunque tre i focolai ancora accesi dentro la maggioranza. Il Mes, la patrimoniale e la gestione del Recovery. Soprattutto il primo ha le potenzialità mandare gambe all’aria l’esecutivo. Il Movimento 5 stelle ha ribadito in tutte le sedi di essere contrario all’utilizzo del Meccanismo Europeo di Stabilità, tanto da boicottarne anche la riforma e, da ultimo, è stato il fondatore del Movimento, a sottolineare in un post che di risorse ce ne sono a sufficienza (parafrasando in questo una frase ormai rodata dello stesso Giuseppe Conte) e che, semmai, è preferibile fare leva su una “tassa sui super ricchi”, una patrimoniale. Al contrario che per i grillini, il Mes è una priorità per il Pd e per Iv. Una spaccatura con la quale occorrerà fare i conti, prima ancora del voto del 9 dicembre, quando il Parlamento europeo sarà chiamato a ratificare la decisione dell’Ecofin di procedere alla riforma del Mes.
Il Pd ha alzato la posta: per il ministro degli Affari Europei, Vincenzo Amendola, “il Movimento 5 stelle farà una riflessione interna, ma un governo che non ha una maggioranza in politica estera deve fare riflettere. Quindi io rifletterei da qui al 9 dicembre. Mi auguro che ci sia un voto condiviso da tutta la maggioranza, mi sembra normale che l’Italia firmi l’accordo per la riforma del Mes, che non significa utilizzare quelle risorse. Senza maggioranza in politica estera il governo non va avanti? Credo che questo sia nella storia della democrazia italiana, un governo deve avere sempre una maggioranza coesa che lavora insieme”.
Delle difficoltà della maggioranza potrebbe approfittare Matteo Salvini, e intanto il vice presidente di Forza Italia, Antonio Tajani, conferma che il suo partito, il 9 dicembre, voterà contro la riforma del meccanismo europeo. E anche sulla patrimoniale, la maggioranza fibrilla. L’emendamento presentato da Fratoianni e da Orfini è stato segnalato, che in parole povere vuol dire che verrà messo molto probabilmente ai voti alla Camera. Il Pd lo ha disconosciuto. Ma Grillo ha rilanciato il tema e Luigi Di Maio gli ha dato manforte, anche se la patrimoniale made in M5s, spiega il ministro, è solo sui “super-ricchi”.
Da ultimo il Recovery Fund: la governance che dovrà gestire i fondi per la ricostruzione post Covid è ancora argomento di dibattito, ma la linea che sembra vincere è quella di Conte, condivisa da Pd e M5s, per una cabina di regia agile, formata dal premier e dai ministri di Economia e Sviluppo Economico, con il ministro agli Affari Europei a fare da raccordo con Bruxelles. Contrario a questa impostazione è Renzi convinto che non serva una nuova task force. Il nodo potrebbe essere sciolto lunedì, quando si terrà una riunione straordinaria del Consiglio dei ministri ad hoc.