In una capitale ancora intorpidita dalle pesanti restrizioni che, unica in Europa, la sua popolazione in parte subisce e in parte palesemente condivide, la stagione primaverile delle inaugurazioni artistiche inizia a ripartire.
Ne è protagonista l’indubbio genio commerciale di quel personaggio che, con la sua opposizione al regime di Pechino, cui pure aveva dimostrato di essere un tempo caro (si pensi allo Stadio delle Olimpiadi cinesi), aveva convinto gran parte della critica artistica mondiale della purezza e sincerità della sua contestazione.
Oggi, Ai Weiwei è un sempre più corpulento miliardario sessantaquattrenne che, attraverso un notevole numero di collaboratori tra cui grandissimi artigiani, produce regolarmente una grande varietà di “arte ready to buy” per le ricche tasche di collezionisti, che vogliano unire, alla spesso indubbia qualità artigianale di prodotti seriali senza fine, la confortante sensazione di essersi opposti al regime politico cinese.
Questo anche se, le misure liberticide prese da due anni hanno ampiamente dimostrato che, con un pretesto qualsiasi, anche l’Occidente sa farsi adeguatamente duro e spietato con i suoi cittadini.
Curiosamente dimentico delle pesanti dichiarazioni con cui Ai Weiwei aveva accusato l’Italia di diffondere nel mondo il virus del Covid, ancorché cinese di origine, il pubblico delle grandi occasioni si è presentato all’inaugurazione, presso le Terme di Diocleziano della nuova megainstallazione del nostro incantatore: La commedia umana.
Poco originale sin dal titolo – non credo serva citare l’opera di Balzac – lo spettatore smaliziato si trova di fronte ad un’enorme sorta di lampadario, fatto di teschi e di ossa, che pende da uno degli altissimi soffitti del meraviglioso edificio romano.
La circostanza che si tratti di vetro soffiato, dai maestri della fondazione Barengo, in un color nero che, se si confà al tema rappresentato, non sembra proprio “celebrare la vita” (come Ai Weiwei vorrebbe, secondo il pieghevole in distribuzione), non può evitare la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di già visto.
Ancora una volta, sembra che solo le dimensioni contribuiscano ad una, ancor minima, soggettività del lavoro.
Il tema del teschio e delle ossa umane è in fondo antico come l’arte e, dopotutto, qui siamo a meno di un km da quella Chiesa dei Cappuccini di Via Veneto, tra le cui montagne di ossa e teschi, si potrebbe malignamente pensare che il nostro abbia tratto l’ispirazione.
Per citare solo alcuni degli artisti che, più recentemente, hanno usato il tema in questione, con effetti più o meno disturbanti ancorché portatori di elementi di originalità, vengono rapidamente in mente:
gli ossessivi diorami dei fratelli Chapman, con i loro nazisti oggetto di ogni tipo di punizione sadica da parte di eserciti di cattivissimi scheletri; certe foto particolarmente riuscite, e per questo di certo non tranquillanti, del fotografo Joel Peter Witkin; per finire, solo in questo brevissimo elenco, con quel teschio ricoperto di diamanti dell’altrettanto grandissimo produttore di “arte in serie” che è, o forse era, Damien Hirst.
Tuttavia, nel caso di oggi, non sembra emergere alcun profilo di originalità o artisticità da questo lavoro gigantesco.
La sensazione di pesantezza generale, non viene di certo alleggerita dal video che riproduce le fasi realizzative del lavoro, qui sembra proporsi il rallenty del montaggio di un enorme Lego e si finisce per eliminare qualsiasi possibile “mistero” che, magari ed in assenza di meglio, un minimo avrebbe giovato alla sua fruizione.
In conclusione, sembra potersi dire di aver assistito ad un’occasione mancata.
Quanto accaduto nel tempo presente sulle libertà individuali in tutto il mondo, con il pretesto di fermare un virus aereo che, a quanto sembra e secondo la norma, si sta esaurendo da se’, dovrebbe oggi costituire un potente fattore di ispirazione, anche artistica, per chi si assuma essere un cantore della realtà.
Ai Weiwei
La Commedia Umana
25 marzo – 3 aprile 2022
Museo Nazionale Romano
Terme di Diocleziano
Gianfrancesco Vecchio