Il recente convegno tenutosi a Siracusa, dal sottotitolo “L’agricoltura, l’industria: come costruire un museo che racconti il passato per capire il presente e progettare il futuro”, non è stato un semplice esercizio accademico, ma ha offerto una visione integrata della storia e delle prospettive del nostro territorio, meritevole di attenzione e approfondimento.
L’idea di fondo, ovvero dotare Siracusa di un Museo dell’industria e della cultura industriale, ha fornito l’occasione per ripercorrere le tappe dell’industrializzazione siciliana dagli anni ’50, con un focus sugli insediamenti di Priolo e Gela. Un’industrializzazione che ha portato profonde trasformazioni ambientali, sociali, economiche e culturali, fino ad allentare in parte le radici identitarie dei territori coinvolti. Ma il vero valore dell’iniziativa sta nell’intuizione che il futuro del territorio non possa essere raccontato senza una visione sinergica tra industria, agricoltura e patrimonio culturale.
Parlare di questi temi, oggi, significa interrogarsi su quale modello di sviluppo vogliamo costruire. E, soprattutto, significa superare le contrapposizioni ideologiche che per troppo tempo hanno paralizzato il dibattito. Da un lato, chi difende l’industria senza condizioni, come se il lavoro fosse garantito indipendentemente dall’impatto ambientale e dalla sostenibilità; dall’altro, chi considera l’industria solo una minaccia, senza offrire alternative concrete per l’occupazione e il benessere delle persone.
Questa contrapposizione, però, è ormai superata dai fatti. Oggi il mondo del lavoro, la comunità scientifica e la società civile sono chiamati a costruire una nuova sintesi: un modello che coniughi sviluppo economico, tutela della salute e dell’ambiente, valorizzazione dell’agricoltura e del patrimonio culturale. Esattamente il tipo di equilibrio complesso – ma necessario – che il progetto culturale del convegno ha messo in evidenza.
Per troppo tempo Siracusa è rimasta imprigionata in una dicotomia tra il Teatro Greco, simbolo della sua storia millenaria, e la zona industriale, con il suo impatto ambientale e produttivo. Non siamo stati capaci di costruire un’integrazione intelligente tra queste due realtà, in una visione di continuità culturale più ampia. È ora di ribaltare questa logica: l’industria non può più essere un corpo estraneo rispetto al territorio, ma deve diventare parte integrante delle sue vocazioni naturali.
La questione, dunque, non è scegliere tra agricoltura e industria, tra cultura e manifattura, ma farle dialogare. E non si tratta di discorsi astratti: sono opportunità concrete, che possiamo e dobbiamo cogliere.
Pensiamo al valore che il nostro territorio potrebbe esprimere attraverso un sistema integrato in cui siti archeologici di rilevanza mondiale convivano con un paesaggio agricolo unico e con un distretto industriale moderno, tecnologicamente avanzato, diversificato e sostenibile. Non è solo una questione di bellezza o identità storica: è un’opportunità economica concreta, capace di generare reddito e occupazione, purché supportata da infrastrutture, formazione e investimenti mirati.
La strada da seguire è chiara, e il mondo della cultura ce la indica con nettezza.
Ma questo è il compito della politica e delle parti sociali: non difendere modelli superati e contrapposti, ma costruire una visione di futuro. Un futuro in cui Siracusa non sia costretta a scegliere tra lavoro e salute, tra industria e ambiente, tra tradizione e innovazione. Perché il vero sviluppo non nasce dalle divisioni, ma dalla capacità di tenere insieme tutte queste dimensioni in un progetto comune.
Roberto Alosi
Segretario generale Cgil Siracusa