La chiusura del bar Cavallino rosso non è una sconfitta delle associazioni antiracket ma dell’intera comunità”. E’ una disamina amara quella di Paolo Caligiore, coordinatore provinciale delle associazioni antiracket, fatta a voce alta e condivisa con le persone presenti nell’atrio del municipio di Palazzolo Acreide, in occasione della presentazione del libro del giornalista Paolo Borrometi “Un morto ogni tanto”. La vicenda è quella relativa alla tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni dei titolari dell’esercizio commerciale di piazzale Marconi, chiuso ormai da diversi mesi perché per i proprietari è scattato il servizio di protezione e vivono in una località sicura per evitare il rischio di ritorsioni. Un caso per il quale nel mese di giugno il tribunale penale di Siracusa ha inflitto la condanna a 3 anni di reclusione a carico di Luciano De Carolis. Determinanti ai fini della condanna sono state le dichiarazioni rese dai gestori e dal banconista del bar, da cui sono scaturite le indagini dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale. Come si ricorderà, l’esponente del clan “Bottaro-Attanasio”, avrebbe fatto consumare alle persone che si trovavano in sua compagnia alcuni bicchieri vodka senza pagare la consumazione. “La pretesa dei servizi gratis – dice Caligiore – è un’azione più subdola della classica estorsione con la richiesta del pizzo perché è un modo di affermare la supremazia dei malavitosi”. Caligiore ha subito 3 attentati ai danni dei supermercati che gestiva nel 1991 a Palazzolo, centro collinare in cui che in quell’anno si sono verificati 8 attentati nel giro di 5 mesi. Tanto è bastato per fare reagire i commercianti che hanno organizzato turni di ronde notturne per prevenire l’azione di malintenzionati. Da quell’esperienza è scaturita la prima associazione antiracket della provincia siracusana, costituita il 28 febbraio 1992, dedicata a Pippo Fava, il giornalista palazzolese vittima della mafia. “Se oggi Palazzolo è considerata un’isola felice – dice Caligiore che in quel periodo delicato ha rifiutato la scorta – lo si deve alla reazione dei commercianti e dei cittadini che hanno fatto fronte comune ribellandosi al racket delle estorsioni. E lottiamo ogni giorno perché non ci sia cedimento alcuno”.
Ma Caligiore, dall’alto dell’esperienza maturata sul campo, sa che le vittime di estorsioni e di usura difficilmente denunciano. “Sarebbe bene – dice – che, oltre a leggere e commuoverci per i libri, come quello di Borrometi, in cui si approfondisce il fenomeno del racket, ci fosse un moto di solidarietà non apparente della società civile ma reale e concreta in modo da essere realmente vicini alle persone che, denunciando i loro strozzini, finiscono per essere isolate rischiando in prima persona e, come nel caso dei titolari del Cavallino rosso, di chiudere i battenti delle loro attività economiche. A volte non basta che magistratura e forze dell’ordine garantiscano il massimo dell’efficienza; non basta che le associazioni antiracket siano vicine ad imprenditori e commercianti dal momento della denuncia fino a quella del processo. E’ fondamentale che si programmino mobilitazioni a sostegno delle vittime del racket. Immagino una manifestazione di solidarietà da parte di associazioni e cittadini davanti a quel bar di piazzale Marconi, chiuso senza che nessuno si sia chiesto il perché, come se fosse del tutto naturale che un imprenditore che denunci, debba subire anche il disagio e la beffa della chiusura della propria attività. La vera sconfitta della società, subentra con l’affermazione del movimento antiestorsione di facciata che non serve a incoraggiare altri imprenditori a ribellarsi al racket e a denunciare gli estorsori”.
Francesco Nania