Girando per il palazzo di Giustizia di Siracusa, insiste la sensazione che ormai c’è aria di smobilitazione; la quiete dopo la tempesta. Del dopo voto, con le liste di proscrizione pronte per ripulire l’ambiente ancora caldo dopo il terremoto giudiziario che ha sconvolto la pubblica opinione. Si cercano i fiancheggiatori; chi sapeva e non ha parlato, ma si alimenta il sospetto che con l’occasione si cercherà di completare la vendetta contro chi non si è mostrato conveniente esecutore al bisogno, notiziando a dovere i segreti nascosti tra le stanze, violate, invece, con cimice e telecamere. Tutto appare come la scena di un crimine. A ben sentire e a ben vedere, ci si trova davanti allo sceneggiato originale di un romanzo criminale che dura ormai da una dozzina di anni nel palazzaccio della Giustizia siracusana; ma non si può dire che sia un lungometraggio perfetto. Infatti, c’è qualcosa di autenticamente angoscioso; una sorta di “tutti contro tutti”, in un meccanismo calibrato a dovere e dove gli attori e i registi si sono rincorsi nello scenario delle aule e dei corridoi della malagiustizia corrotta e capace di cambiare persino le regole del gioco nella democrazia parlamentare. Difficile accreditare la prima regia così come tutti gli attori protagonisti che ormai conosciamo come presenza ricorrente in tutti gli ultimi scenari giudiziari che hanno perfino scandalizzato gli Stai Uniti d’America e gli Emirati Arabi, dove sono abituati a cose ben peggiori.
Ad un tratto, i quattro cavalieri dell’Apocalisse, diventano otto, e tutti gridano, segnalando una grave situazione di anomali nella gestione di alcuni fascicoli e il timore che l’attività investigativa fosse asservita al punto di favorire interessi di parte. Un romanzo dove giovani e vecchi magistrati, così come anziani e giovani avvocati, spinti dalla disperazione, dalla concorrenza sleale, ricondotti per causa di forza maggiore a tentare di fermare la frana che rischiava di travolgere l’intero palazzo, e che conosciamo come interpreti di una formula ormai magica che illumina i saggi della Procura di Messina, di Caltanissetta, di Palermo, Roma e Milano, per finire al Csm, in una specie di miniserie televisiva dedicata alla figura di procuratori, sostituti e fior di avvocati diventati famosi, ritrovati sempre nelle pause della cronaca pesante, ma tutti infelici di vivere in un ambiente malato, malsano, viziato dai veleni.
Questo esordio ha una storia. Ispirato alla cronaca, c’è stato all’inizio un testo para-teatrale, presente in un ruolo di poliziotto dall’aria poco raccomandabile. Ma rimane ancora qualcosa di struggente nel rivisitare a più di dodici anni di distanza, la lettura post-neorealista della crisi della Giustizia siracusana, in uno alla politica scambiata a sua volta per un cortile dove fare affari d’oro, mafia e antimafia compresa. Insomma il panorama è piuttosto desolante, e il film sembra dire: vorremmo farvi ridere e divertire, ce la mettiamo tutta, ma c’è poco da ridere, la cosa è davvero molto seria. E non è ancora finita.
Concetto Alota