22 febbraio 2021. L’emergenza Covid, in atto ormai da un anno, si è abbattuta in maniera drammatica sul nostro sistema di imprese colpendo, in particolare, le filiere del turismo e della ristorazione che hanno azzerato i loro fatturati, ma anche moltissime imprese del commercio al dettaglio e del comparto del tempo libero (attività artistiche, sportive e di intrattenimento) che hanno chiuso definitivamente l’attività. Per il 2020 l’Ufficio Studi di Confcommercio, che da anni monitora il tessuto economico-sociale del Paese, stima una riduzione di oltre 300mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi, di cui circa 240mila esclusivamente a causa della pandemia, a cui si deve aggiungere anche la perdita di circa 200mila attività professionali. Complessivamente, nel 2020 sono andati persi 160 miliardi di euro di Pil, 120 miliardi di consumi e il 10% di ore lavorate.
Tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi che prende in esame 110 capoluoghi di provincia e altre 10 città di media ampiezza – si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare. Per il commercio in sede fissa, tiene in una qualche misura la numerosità dei negozi di base come gli alimentari (-2,6%) e quelli che, oltre a soddisfare bisogni primari, svolgono nuove funzioni, come le tabaccherie (-2,3%); significativi sono invece i cambiamenti legati alle modificazioni dei consumi, come tecnologia e comunicazioni (+18,9%) e farmacie (+19,7%), queste ultime diventate ormai luoghi per sviluppare la cura del sé e non solo quindi tradizionali punti di approvvigionamento dei medicinali. Il resto dei settori merceologici è, invece, in rapida discesa: si tratta dei negozi dei beni tradizionali che si spostano nei centri commerciali o, comunque, fuori dai centri storici che registrano riduzioni che vanno dal 17% per l’abbigliamento al 25,3% per libri e giocattoli, dal 27,1% per mobili e ferramenta fino al 33% per le pompe di benzina, generando un vero e proprio effetto di desertificazione dei centri storici, impoverandone l’offerta commerciale e attrattiva. Anche il commercio elettronico, che vale ormai più di 30 miliardi, registra cambiamenti a causa della pandemia: nel 2020 è in calo del 2,6% rispetto al 2019 come risultato di un boom per i beni, anche alimentari, pari a +30,7% e di un crollo dei servizi acquistati (-46,9%).
La pandemia acuisce questi trend e lo fa con una precisione chirurgica: i settori che hanno tenuto o che stavano crescendo cresceranno ancora, quelli in declino rischiano di scomparire dai centri storici. Quanto alle dinamiche riguardanti ambulanti, alberghi, bar e ristoranti, a fronte di un processo di razionalizzazione dei primi (-19,5%), per alberghi e pubblici esercizi, che nel periodo registrano rispettivamente +46,9% e +10%, il futuro è molto incerto: nel 2021 si registrerà per la prima volta nella storia economica degli ultimi due decenni anche la perdita di un quarto delle imprese di alloggio e ristorazione (-24,9%). La non rosea previsione della stagione 2021 significherebbe una frenata difficile per la città di Siracusa che mostra numeri in ascesa dal 2012, in linea con un positivo trend regionale: nel solo centro storico di Ortigia, fino allo scorso già complesso anno 2020, si è registrato un +76% di crescita per pubblici esercizi e alberghi; fuori dal centro storico, si registra un incremento di circa il 30%, sempre per le stesse categorie, elementi chiavi di sviluppo della provincia aretusea a forte identità turistica.
”Lo sviluppo positivo finora vissuto dal comparto può rappresentare una buona base di partenza per combattere la crisi in atto ha dichiarato il presidente di Confcommercio Siracusa, Elio Piscitello – auspicando la fattiva collaborazione con la pubblica amministrazione. Come sottolineato anche nello studio nazionale Confcommercio, occorre reagire per dare una prospettiva diversa alle nostre città che rappresentano un patrimonio da preservare e valorizzare. Le direttrici sono tre: un progetto di rigenerazione urbana, l’innovazione delle piccole superfici di vendita e una giusta ed equa web tax per ripristinare parità di regole di mercato tra tutte le imprese”.