L’operazione “Dirty Oil” (olio sporco) della Dda di Catania ha permesso di sgominare un’associazione a delinquere che produceva un giro di affari di quasi 30 milioni di euro. All’alleanza criminale, che si è avvalsa anche dell’opera di miliziani libici armati dislocati nella fascia costiera confinante con la Tunisia, è stata altresì contestata l’aggravante mafiosa attesa la presenza nella stessa di Nicola Orazio Romeo ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano.
In un anno d’indagini, i militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Catania, sono riusciti a documentare dettagliatamente oltre 30 viaggi nei quali sono stati importati via mare dalla Libia oltre 80 milioni di kg. di gasolio per un valore all’acquisto di circa 30 milioni di euro.
Tra i soggetti coinvolti nel traffico internazionale di prodotti petroliferi libici e destinatari della misura in carcere figurano: l’amministratore delegato della Maxcom Bunker, Marco Porta di 48 anni; Fahmi Mousa Saleem Ben Khalifa, alias “il Malem” (il capo), nativo di Zuwarah (Libia), fuggito dal carcere nel 2011 con la caduta del regime di Gheddafi dove stava scontando una condanna a 15 anni per traffico di droga; Ben Kalifha ha guidato una milizia armata stanziata nella zona costiera al confine con la Tunisia ed è stato recentemente posto agli arresti per contrabbando di carburanti da parte delle Autorità libiche; il catanese Nicola Orazio Romeo di 45 anni, indicato da alcuni collaboratoridi giustizia quale appartenente alla frangia mafiosa degli Ercolano e ritenuto, in una conversazione captata tra gli indagati, quale soggetto della “mala, quella giusta, quella che non lo tocca nessuno”. Romeo è già stato denunciato nel 2008 per la sua appartenenza mafiosa ai Santapaola e per alcune azioni estorsive perpetrate nelle zone di Acireale e Aci Catena. Nella presente indagine Romeo è parte integrante della componente maltese dell’organizzazione la cui funzione primaria è stata quella di organizzare i trasporti del gasolio libico via mare; i cittadini maltesi Darren Debono di 43 anni e Gordon Debono di 43 anni; i maltesi, con Nicola Orazio Romeo, hanno curato il trasporto via mare gestendo, al contempo, il reticolo di società commerciali coinvolte nel
business; il libico, originario di Zuwara, Tareq Dardar, quale collettore dei pagamenti e dei flussi finanziari veicolati su conti esteri nella disponibilità del Ben Khalifa. Per i soggetti non rintracciati nel territorio nazionale, la Procura distrettuale ha richiesto l’emissione di un mandato d’arresto internazionale.
L’amministratore delegato della Maxcom Bunker società con sede legale a Roma, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e di bunkeraggio delle navi, si è avvalso della complicità di alcuni dipendenti della società, attinti anche loro della misura cautelare degli arresti domiciliari. Si tratta di Rosanna La Duca di 48 anni, consulente esterna della Maxcom Bunker, Stefano Cevasco di 48, addetto all’ufficio commerciale, Antonio Baffo di 61 anni responsabile del deposito fiscale di Augusta.
Il gasolio libico, trafugato dalla N.O.C. (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera nazionale della Libia, riciclato e immesso, all’insaputa dei consumatori finali, anche presso distributori stradali, è un carburante avente tenore di zolfo minore di 0,1% ed è destinato al “bunkeraggio” ossia al rifornimento, in ambito portuale, di carburanti o di combustibili ad unità navali. Il prodotto in questione, dopo miscelazioni presso uno dei depositi fiscali della Maxicom di Augusta, Civitavecchia e Venezia, veniva immesso nel mercato italiano ed europeo (Francia e Spagna in particolare) ad un prezzo similare a quello dei prodotti ufficiali pur essendo la qualità dello stesso inferiore.
La stabile associazione criminale mirava ad acquisire la disponibilità di un flusso continuo di gasolio libico ad un prezzo ribassato rispetto alle quotazioni ufficiali (in alcuni casi anche fino al 60%) così garantendo alla società italiana acquirente un margine di profitto costante e più elevato.
Gli ideatori del lucroso affare internazionale, al fine di ostacolare la ricostruzione dei passaggi materiali, documentali e finanziari sottesi al commercio di gasolio, hanno costruito un variabile sistema di società, a più livelli, poste fittiziamente tra venditori e acquirenti finali. La frode è stata attuata mediante il ricorso a falsa documentazione attestante inizialmente l’origine saudita del gasolio “libico” e poi, successivamente, la non veritiera cessione del carburante da una delle società sussidiarie della N.O.C. (National Oil Corporation), la compagnia petrolifera nazionale della Libia. Va, infatti, segnalato come la commercializzazione e l’esportazione dei prodotti derivati dal petrolio raffinati in Libia sia un’esclusiva della N.O.C. e ogni cessione che avvenga attraverso società non autorizzate costituisce un illecito.
In una fase successiva, a seguito dell’improvvisa attenzione mediatica sul fenomeno illecito in rassegna, l’organizzazione ha mutato il sistema di frode: il prodotto non era più accompagnato da certificati attestanti la falsa origine saudita ma da falsi certificati libici, realizzati attraverso la pratica corruttiva in quel Paese.
Infatti, prima la pubblicazione, il 25 febbraio 2016, sul quotidiano online “corriere.it”, di un articolo dal titolo “Le Petroliere fantasma dalla Libia all’Italia – I traffici nel mediterraneo” che ricostruiva con precisione le rotte delle navi impiegate dal sodalizio criminale per il traffico illecito di prodotti petroliferi tra la Libia, Malta e l’Italia, e poi le risultanze del Report n. S/2016/209 del 09 Marzo 2016 del Gruppo di esperti in Libia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno letteralmente allarmato l’amministratore delegato della Maxcom Bunker SPA, Marco Porta e alcuni suoi stretti collaboratori.
Nel citato Report delle Nazioni Unite veniva evidenziata l’imponente dimensione del “contrabbando di benzina sia dentro che fuori dalla Libia, che conduce al mercato nero e che fornisce una fonte significativa di introiti per i gruppi armati locali e le reti criminali”, con specifico riferimento ai prodotti provenienti dalla raffineria di Zawiya e contrabbandati, secondo modalità perfettamente corrispondenti a quelle accertate nel corso delle investigazioni condotte dai Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Catania, dalla “rete gestita da Fahmi ben Khalifa (anche conosciuto come Fahmi Salim)”, il quale “controlla una milizia ed è azionista di una compagnia maltese, Adj Trading Limited”, oltre a “presiedere il Consiglio di Amministrazione di una compagnia libica, Tiuboda Oil and Gas Service Limited”.
E’ stato appurato che Ben Kalhifa, controllando le acque antistanti i porti libici di Abu Kammash e Zwarah, consentiva a navi cisterna di rifornirsi del gasolio proveniente dalle raffinerie attraverso pescherecci appositamente modificati e/o altre navi cisterna di piccole dimensioni. Alcune di queste navi, giunte al largo di Malta,
procedevano ad un ulteriore trasbordo su natanti nella disponibilità di società maltesi, le quali s’incaricavano poi di trasportarlo presso porti italiani per conto della società Maxcom Bunker SPA. I natanti utilizzati per l’illecito trasporto disattivavano il dispositivo di identificazione al fine di celare la loro reale posizione.
Per l’efficace riuscita delle investigazioni, la Procura ha autorizzato l’utilizzo di dispositivi in grado di intercettare conversazioni tenutesi tramite l’impiego di apparati satellitari. In particolare, quale prima sperimentazione effettuata in Italia, i finanzieri del G.I.C.O. del Nucleo P.T. di Catania hanno eseguito la captazione di conversazioni tra telefoni satellitari operando a bordo dei mezzi aeronavali del Comando Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza e con il contributo tecnico fornito dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.).
Per quanto concerne la successiva distribuzione sul territorio nazionale del carburante importato dalla Libia dalla Maxcom Bunker SPA, le Fiamme Gialle catanesi sono riuscite a tracciare, in alcuni casi, la destinazione finale del gasolio immesso in Sicilia e in Campania riuscendo, al contempo, a smascherare una distinta associazione a delinquere finalizzata alla sistematica evasione dell’IVA e alla vendita a distributori stradali “compiacenti” – ubicati in Catania e provincia – di gasolio “extra-rete” in frode a consumatori e compagnie di bandiera. Tale struttura illecita risulta composta da società cartiere ubicate in Catania e nel siracusano nonché da depositi fiscali nel trapanese e depositi di stoccaggio nel catanese unite tra loro da apparenti rapporti commerciali attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
L’articolato sistema di frode ha comportato un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte (IVA) per un ammontare di oltre 11 milioni di euro. Tra gli indagati figurano gli amministratori di fatto delle società coinvolte, già recentemente investigati in similari inchieste dirette da questa Procura e condotte dalle Fiamme Gialle di Catania, ai quali sarà notificato un avviso di conclusione delle indagini. Parte del gasolio illecitamente trafugato dalla Libia, dalla Sicilia è stato destinato per la distribuzione anche a società di stoccaggio campane.
Il gasolio “libico”, dopo miscelazione, è giunto, in alcuni casi, anche presso i distributori stradali ad un costo assolutamente “proibitivo” per gli operatori del settore leali costretti a soccombere al cospetto di società illecite che hanno messo a frutto l’evasione d’imposte e il minore onere d’acquisto della materia prima.
La complessa investigazione economico – finanziaria ha fatto emergere un sofisticato traffico illecito internazionale di carburante in grado di alterare la libera concorrenza di mercato, a danno di imprese, consumatori finali e degli Stati europei destinatari del
prodotto petrolifero trafugato.
L’operazione ‘Dirty oil’ ha permesso di sgominare un’associazione a delinquere che produceva un giro di affari di quasi 30 milioni di euro. Circa 80mila le tonellate di carburante rubate dalle milizia libiche guidate da Ben Khalifa, recentemente arrestato dalle autorità, fuggito dal carcere nel 2011 dopo la caduta di Gheddafi. Tra gli arrestati anche Nicola Orazio Romeo, ritenuto vicino alla famiglia Santapaola-Ercolano
C’è un uomo considerato vicino a Cosa nostra. E ci sono i miliziani libici dell’Isis. Rubavano il gasolio in Libia e lo immettevano nel mercato italiano ed europeo passando dalla Sicilia. E facevano in modo di occultarne la provenienza creando società schermo a Malta. È quello che ha scoperto la procura di Cataniache stamattina ha chiesto e ottenuto l’arresto di nove persone: tre sono finite in carcere, altre tre ai domiciliari, mentre tre libici sono ricercati. Tra le persone colpite da ordinanza di custodia cautelare ci sono anche quattro italiani.L’operazione – battezzata Dirty oil – coordinata dal procuratore Carmelo Zuccaro, era partita da una denuncia dell’Eni, parte lesa della vicenda.
Il petrolio veniva rubato dalla raffineria di Zawyia, centro a 40km da Tripoli e trasportato in Italia – dove arrivava nel porto di Augusta – via mare scortato dalle milizie libiche guidate da Ben Khalifa, recentemente arrestato dalle autorità, fuggito dal carcere nel 2011 dopo la caduta di Gheddafi. Khalifa sarebbe stato a capo di uomini di stanza nella zona costiera al confine con la Tunisia, mentre tra i quattro italiani fermati c’è Nicola Orazio Romeo, ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. A fare il suo nome era stato il collaboratore di giustizia Giuseppe Scollo ma le accuse nei suoi confronti non sono mai state dimostrate. Anche in questo caso il gip ha escluso per lui ipotesi di contiguità mafiose, per i pm, però, è rilevante che un uomo indicato come vicino ai clan abbia avuto contatti con i miliziani libici.
Le indagini, durate un anno, hanno documentato più di 30 viaggi nei quali sono stati importati via mare dalla Libia oltre 80.000 tonnellate di gasolio, per un valore di circa 30 milioni di euro. Il gasolio veniva trafugato dalla Noc, la compagnia petrolifera nazionale libica. Una volta arrivato in Italia, grazie al lavoro dell’amministratore delegato della Maxcom Bunker, società che commercia prodotti petroliferi con sede a legale a Roma, veniva immesso nel mercato italiano ed europeo a un prezzo simile ai prodotti ufficiali, pur essendo di qualità inferiore.Gli ideatori del traffico, per non farsi scoprire, hanno prima costruito un sistema difinte società a più livelli, poi sono riusciti a ottenere falsa documentazione libica probabilmente corrompendo funzionari statali.
Le indagini continuano sul fronte internazionale, ma soprattutto sul coinvolgimento della Mafia e dell’Isis.