Il carcere per i giornalisti divide la maggioranza.
Fratelli d’Italia, con il relatore Gianni Berrino, tenta un blitz al Senato per introdurre il carcere fino a 4 anni e mezzo e sanzioni pecuniarie fino a 120mila euro per i cronisti, presentando 15 emendamenti al testo sulla diffamazione.
Ma subito prendono le distanze, sia la presidente della Commissione Giustizia, Giulia Bongiorno (Lega), che annuncia a breve “una riunione di maggioranza sul punto”, sia il capogruppo di FI in Commissione, Pierantonio Zanettin, che assicura di nutrire “più di un dubbio” sulle proposte di modifica di Berrino. Entrambi, poi, sono d’accordo su un punto: bisogna rafforzare l’istituto della rettifica e insistere sulla regolarità del titolo, ma niente carcere. E contro la detenzione per i cronisti è anche il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi (“Un deciso no”).
Dei 5 progetti di legge in materia presentati a Palazzo Madama (anche da Pd e M5S) il relatore prende come testo base quello che ha come primo firmatario il presidente della Commissione Affari Costituzionali, Alberto Balboni. Ed è a questo che, dopo ben 3 proroghe del termine per gli emendamenti, Berrino presenta le sue proposte di modifica che fanno andare anche le opposizioni su tutte le furie.
A cominciare dai Dem che, con il capogruppo in Commissione, Alfredo Bazoli, parlano di “misure gravi contro la libertà di stampa”. Non solo resta il carcere già previsto nell’articolo 595 del codice penale, che quasi tutti i ddl puntavano ad eliminare, ma la detenzione aumenta fino a 4 anni e mezzo. Il che significa che, anche un incensurato che viene condannato, almeno un anno di carcere vero se lo fa (se uno è incensurato 3 anni li condonano). In più, si prevede l’ interdizione dalla professione da 2 mesi a 2 anni.
Berrino propone anche l’introduzione di una nuova norma contro le ‘fake news’: l’articolo 595-bis del codice penale. Con questo nuovo articolo “chiunque, con condotte reiterate e coordinate, preordinate ad arrecare un grave pregiudizio all’altrui reputazione” attribuisce pubblicamente “fatti che sa essere anche in parte falsi”, è punito con la reclusione da 6 mesi a 1 anno e con la multa da 15.000 a 50.000 euro”. E se il fatto attribuito costituisce un reato “la pena aumenta da un terzo alla metà”. Se poi l’offesa è diretta a “un Corpo politico, amministrativo o giudiziario”, le “pene aumentano”.
In più, Berrino, considerato “molto vicino ad Andrea Delmastro” il sottosegretario alla Giustizia avvistato nel pomeriggio a Palazzo Chigi, amplia, tra l’altro, la platea dei responsabili prevedendo non più solo “l’autore dell’offesa’, ma anche “l’autore della pubblicazione”.
Tutto questo rigore, si osserva anche in parte della maggioranza, va in controtendenza rispetto alla Corte Costituzionale che nel 2021 dichiarò illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa proprio perché prevedeva il carcere, in contrasto con la giurisprudenza della CEDU che nel caso di Alessandro Sallusti condannò l’Italia perché al giornalista si comminò una pena detentiva (poi commutata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano).
“Nessuno – ribatte Berrino – ha diritto di inventarsi fatti falsi e precisi per ledere l’onore delle persone”. Quello, spiega, “non è diritto d’informazione”, ma “un’orchestrata macchina del fango”. I suoi emendamenti, tra i quali ci sono anche quelli sulle liti temerarie che prevedono la condanna per il querelante solo in caso di “colpa grave”, vengono criticati dalla FNSI (“Provvedimento incivile”) e dall’Ordine dei giornalisti (“Posizioni inaccettabili frutto di pulsioni autoritarie”).
Secondo la senatrice Avs, Ilaria Cucchi, è “una forma di intimidazione”. Mentre per i senatori Dem in Commissione Giustizia si tratta di “un segnale pesantissimo”. “E’ una deriva pericolosissima” è l’allarme che lancia la senatrice M5S Dolores Bevilacqua.