Overbooking per la terza delle giornate siracusane, ad applaudire il dramma del re cieco un teatro brulicante. Una regia contemporanea quella di Robert Carsen, asciutta e diretta. Nessun orpello, solo minimalismo ed essenzialità. Ad imperare nella scena una grande scalinata. Un gioco di luci fendenti ha scandito i contorni di un dramma immortale. Nella visione bicroma è il nero a farla da padrone. Abiti formali, moderni e rigorosi. Anche la recitazione perde quell’enfasi greca a cui siamo abituati per declinarsi in sonorità pacate, a tratti sussurrate. Questa anomalia porta lo spettatore a godere dello spettacolo senza la lente del tempo, ecco che il dramma diventa attuale. Edipo rappresenta il paradigma di una crisi familiare, rapporti disgregati, ruoli confusi e amori posticci. La sua disperazione è figlia di un disagio interiore a cui nessuno è immune. L’ineluttabilità del destino si trascina per tutta l’opera e il calar del sole, come un orologio a pendolo, segna l’inizio della fine.
Un plauso al coro che, con movenze sincronizzate, amplifica sentimenti ed emozioni. Con circolarità gli abiti senza corpo rappresentano i morti di una profezia che si avvera. Sarà sempre un abito, metonimia di una moglie-madre, a raccontare il dramma di un suicidio. Un abito bianco che si tingerà del sangue di un Re impostore che si acceca per non vedere l’abominio.
Giocoasta, al secolo Maddalena Crippa, riesce con credibilità a raccontare la leggera passione di una donna ignara che ama e conforta il marito, per poi subire senza risposta il tracollo emotivo.
Giuseppe Sartori, a cui il pubblico regala grandi applausi e standing ovation, è stato un mirabile Edipo Re che, a fine spettacolo, stanco e cieco si trascina tra il pubblico ricordando come nessuno sia immune all’errore, come la colpa possa schiacciare tutti, come l’empatia sia l’unica salvezza.
Michela Italia