La Cassazione penale (sentenza n. 13324 del 30 aprile 2020 – è tornata sulla natura del reato di getto pericolose (articolo 674 Codice Penale) e sulle condizioni della sua configurabilità in relazione alle emissioni odorigene in particolare. Soprattutto la sentenza chiarisce ulteriormente che le emissioni odorigene da attività industriale il criterio della normale tollerabilità (articolo 844 Codice Civile) non è sufficiente per dimostrare la fattispecie del reato suddetto ma occorre quello della “stretta tollerabilità”
L’articolo 674 del Codice Penale individua due condotte punibili con la contravvenzione ivi prevista (l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a euro 206):
1. Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone.
2. Chiunque, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti.
Secondo la sentenza (che riprendere giurisprudenza precedente) La fattispecie contravvenzionale descritta dall’art. 674 cod. pen. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato, ma un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una species del più ampio genus costituito dal gettare o versare cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone.
In particolare questa interpretazione, sulla natura unica del reato in questione, ha come conseguenza che anche in presenza di autorizzazione alle emissioni si può realizzare la fattispecie di reato nel caso in cui anche nel rispetto delle prescrizioni autorizzatorie si producono le molestie olfattive alle persone. Afferma infatti la Cassazione che l’evento di molestia provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori si ha non solo nei casi di emissioni inquinanti in violazione dei limiti di legge, ma anche nel caso di superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 cod. civ., la cui tutela costituisce la “ratio” della norma incriminatrice
Il criterio della stretta tollerabilità è stato introdotto da tempo dalla giurisprudenza della Cassazione (vedi sentenza n°36905 del 18 giugno 2015) per ovviare ad un limite del criterio della normale tollerabilità previsto dall’articolo 844 Codice Civile. Quest’ultimo, secondo la giurisprudenza della Cassazione, va riferito esclusivamente al contenuto del diritto di proprietà e non può essere utilizzato per giudicare l’illiceità d’immissioni che rechino pregiudizio anche alla salute umana o all’integrità dell’ambiente naturale.
Conclude sul punto la Cassazione nella sentenza n. 13324 del 30 aprile 2020): “… un’attività produttiva di carattere industriale autorizzata può procurare molestie alle persone, per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici e dell’osservanza del principio di precauzione che deve informare l’attività produttiva potenzialmente in grado di arrecare disturbo e molestie alla salute delle persone. Secondo questo orientamento è configurabile il reato di getto pericoloso di cose in caso di produzione di “molestie olfattive” mediante un impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera, in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione, quale parametro di legalità dell’emissione, del criterio della “stretta tollerabilità”, e non invece, di quello della “normale tollerabilità” previsto dall’art. 844 cod. civ., attesa l’inidoneità di quest’ultimo ad assicurare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana.”
La Cassazione in questa ultima sentenza ricorda però che l’art. 674 cod. pen. espressamente vieta le emissioni di gas, di vapori o di fumo atti a cagionare l’evento di molestia alle persone, “molestia” che, come affermato da una risalente ma condivisibile pronuncia, ricomprende tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo e comunque di turbamento della tranquillità e della quiete che producono un impatto negativo, anche psichico, sull’esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione (Cassazione Sez. 3, n. 38297 del 18/06/2004), situazioni che non comprendono il danno o anche il pericolo di danno alla salute e/o all’ambiente, casi nei quali altre sono le fattispecie incriminatrici applicabili.
In altri termini il criterio della stretta tollerabilità è inteso nel senso le emissioni intollerabili indebitesono, per un verso, quelle diverse o eccedenti dai limiti connaturali dell’attività produttiva da cui si originano e, per altro verso, anche quelle strettamente connaturate all’attività, ma comunque evitabili con gli opportuni accorgimenti. Al di fuori di questo perimetro (che ci pare possa anche corrispondere a quello espresso con la locuzione “stretta tollerabilità”, il privato che si sente leso potrà solo invocare la tutela civilistica di cui all’art. 844 cod. civile.
La nuova sentenza della Cassazione esaminata, per le attività produttive conclude affermando che occorra distinguere:
1. attività svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non richiesta o ottenuta): il contrasto con gli interessi protetti dalla disposizione di legge va valutato secondo criteri di “stretta tollerabilità“
2. attività svolte in conformità alle previste autorizzazioni e senza superamento dei limiti ivi previsti: si deve fare riferimento alla “normale tollerabilità” delle persone quale si ricava dal contenuto dell’art. 844 cod. civ.