Questa volta sono i venti di guerra russo-ucraina a connotare le dinamiche del disastro occupazionale del nostro territorio. Un disastro che va a sommarsi a quello ambientale e sanitario, che quello stesso comparto petrolchimico ha generato in settant’anni di insediamento.
Epperò c’è chi si lamenta che a distanza di mesi il Governo Centrale non abbia saputo ancora dare riscontro alla richiesta di crisi complessa che si è levata dai nostri territori ad opera dei confederati industriali, dei sindacati, delle associazioni di categoria.
Nessuna risposta dunque, almeno fino ad oggi.
Forse da Roma e ancor più dall’Europa giammai si sarebbero aspettati che in periodi di crisi globale, generata in primo luogo dal mercato mondiale che da decenni ha oramai marcato come obsoleti e dannosi impianti come quelli di cui il nostro territorio si dice “vocato”, forse sarebbe più opportuno dire colonizzato, in secondo luogo dalla pandemia che ci ha devastati economicamente oltre che sanitariamente, e da ultimo dalla invasione russa dell’Ucraina e dalla crisi legata alle risorse energetiche (gas e petrolio ma non solo) che ne sta derivando, tutto si risolvesse in una richiesta di riconoscimento di crisi complessa.
Forse l’inavvedutezza (?) di questa locale imprenditoria ha destabilizzato tanto il ministero quanto il governo europeo, né si conoscono altre aree industriali dalle quali si sia levata la stessa richiesta sfacciatamente assistenziale. Forse ci si sarebbe aspettato un veloce ed organizzato cambio di passo da parte dei locali industriali, condito con programmi di riconversione, veritieri e trasparenti al sapore di economia circolare, innovazione tecnologica, risanamento territoriale, bonifiche (non solo messa in sicurezza). Certo è che l’argomento fa saltare i nervi ai magnati del fossile che sanno solo unirsi al consueto coro blaterando di “desertificazione occupazionale”. Dovrebbe essere vietato l’uso improprio del vocabolo “desertificazione” se non abbinato al triste scippo territoriale, all’atto predatorio dei beni comuni forse irrimediabilmente destinati a rimanere malsani.
Si stenta davvero a credere che l’intento comune degli imprenditori legati alla petrolchimica locale sia ancora e ancora quello di rimediare lauti finanziamenti dall’Europa o dal Ministero per lo sviluppo economico e di mirare all’assistenzialismo senza la progettualità invocata dal PNRR.
Imprenditori a convenienza?
Resta il fatto che pianificando un’autentica conversione e riqualificazione del territorio, nessun posto di lavoro verrebbe sacrificato ed il livello occupazionale crescerebbe in modo esponenziale con buona pace del territorio tutto.
Giusi Nanè, delegata provinciale Europa Verde – Verdi Siracusa