I figli di Archimede. Giovanni Germano, ricercatore. Un siracusano che si fa onore nel mondo. La sua è una presentazione semplice. “Dopo aver lavorato all’Istituto Europeo di Oncologia e all’Istituto Humanitas di Milano, ho trascorso più di due anni presso l’ospedale universitario di Zurigo, dove ho studiato come alcune cellule sane dell’organismo, i fibroblasti, che costituiscono l’impalcatura su cui crescono le cellule tumorali, possano favorire lo sviluppo del cancro, e come questa loro azione, che si osserva soprattutto nel tumore dell’ovaio e nel melanoma, possa essere contrastata. Ora il mio lavoro continua, in ambito diverso, ma nella stessa linea, studiando cioè i fattori esterni al tumore del colon-retto che ne facilitano la crescita e la diffusione. Grazie a una borsa di studio iCARE, cofinanziata da AIRC e dall’Unione Europea attraverso le Marie Curie Actions, nel 2014 sono tornato in Italia, all’Istituto per la Ricerca e la cura del Cancro di Candiolo, vicino Torino. Qui in questo momento studio come alcuni aspetti del microambiente tumorale possono essere coinvolti nell’instaurarsi di queste alterazioni, in particolare delle mutazioni nei geni della famiglia RAS, responsabili anche di una scarsa risposta della malattia alle terapie mirate nei tumori del colon-retto”.
Ma il miracolo avviene alcuni anni fa, quando alcuni ricercatori torinesi, tra i quali appunto il siracusano Giovanni Germano, “svelano” il tumore al sistema immunitario. E’ la somma d’impegno e passione; una scoperta dei ricercatori dell’Ircc/s di Candiolo e dell’Università di Torino con il loro studio. Anni di esperimenti, ripetizioni, prove e ricerche minuziose e i risultati. Col titolo: “Inactivation of DNA repair triggers neoantigen generation and impairs tumour growth” da Nature, una delle riviste di maggior valore nell’ambito della comunità scientifica internazionale per far sapere al mondo intero che si apre una nuova strada nel campo dell’immunoterapia. “La modifica del tumore, che possiamo paragonare a un velivolo stealth, e cioè invisibile, dichiarò a caldo alla Stampa il direttore del Laboratorio di Oncologia Molecolare e docente del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, Prof. Alberto Bardelli che ha presentato lo studio, insieme con il giovane talento siracusano Giovanni Germano, ricercatore con esperienza in Immunologia, in uno che può essere individuato dai radar e intercettato dai nostri sistemi di sicurezza. Usando un’innovativa tecnologia genetica, spiega ancora Bardelli, abbiamo costretto cellule di tumori del colon e del pancreas a uscire allo scoperto e a diventare un bersaglio da aggredire e neutralizzare per le cellule del sistema immunitario”.
Per Bardelli, lo studio volge alla domanda: “Se farmaci antitumorali, che come effetto collaterale causa danni al Dna, provocano la formazione di neo-antigeni che possono risvegliare il sistema immunitario. Abbiamo già in mente potenziali candidati e stiamo lavorando anche con l’Istituto Nazionale dei Tumori, il Niguarda Cancer Center e l’Università di Milano per verificare la nostra ipotesi per futuri sviluppi clinici”.
Giovanni Germano, figlio di Corrado, conosciuto come uno dei famosi librai siracusani con l’antica Libreria Diana di Corso Gelone, è nato a Siracusa nel 1979. Laureato in Scienze Biologiche presso l’Università degli Studi di Perugia. PhD in Basic and Applied Immunology presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Studia da sempre il sistema immunitario per migliorare la risposta dei tumori. “Alcuni tumori sono fortemente immunogenici, cioè stimolano una forte risposta del sistema immunitario, che può aiutare a combatterne l’espansione, mentre altri si dimostrano silenti e non vengono “visti” dal corpo. La lotta ai tumori, l’immunoterapia, poggia sull’idea di stimolare il sistema immunitario verso le cellule cancerose e, per questo motivo, è necessario segnalare e rendere più “visibile” il tumore. L’obiettivo è studiare nel profondo dei meccanismi con cui il sistema immunitario riconosce i tumori ad alto carico di neoantigeni”.
Giovanni Germano definisce quello del Gruppo di studio di cui fa parte “un lavoro complesso ma la posta in gioco è molto alta e gli esperimenti, sin dalle prime fasi, indicavano che stavamo percorrendo una strada mai intrapresa prima. Un lungo lavoro di squadra, con tante difficoltà, tra fallimenti sperimentali e conferme, ma che ci ha portato alla fine, in un freddo pomeriggio autunnale, a dire: era quello che avevamo ipotizzato”.
C.A.