Il Caso Gennuso – a cura di Concetto Alota
Il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, in merito ai testimoni di giustizia abbandonati e che in molti casi non sono protetti in maniera adeguata, ha dichiarato: “Le persone a rischio che hanno dato una collaborazione allo Stato, hanno esposto i loro familiari, non possono essere dimenticate dallo Stato”.
Il contributo dei testimoni di giustizia è fondamentale per le indagini e per la lotta alle mafie. Le prefetture spesse volte sono responsabili dei tormenti che i testimoni di giustizia giocoforza patiscono. I tanti esposti e le richieste di aiuto da parte dei testimoni di giustizia il più delle volte non vengono approfondite e finiscono con un nulla di fatto. L’allarme viene denunciato in tutte le salse, ma nessuno interviene. I testimoni diventano preziosi, scortate fino alle dichiarazioni in aula e le relative condanne grazie alle loro testimonianze, ma diventano carne da macello subito dopo. La loro collaborazione è indispensabile contro la lotta al crimine organizzato, ma spesso diventano eroi da commemorare.
Sono tanti i testimoni di giustizia, che protestano perché gli è stata negata la scorta. A volte a condannare i testimoni e i collaboratori di giustizia è l’assordante silenzio delle istituzioni e della politica.
Le minacce dei mafiosi ai testimoni non hanno un termine, ma sono per sempre. Si tratta di persone a rischio che si trovano tra due fuochi: da una parte i mafiosi condannati che vogliono punirli per averli fatti condannare, dall’altra lo Stato che troppo spesso li lascia soli sottovalutando il pericolo.
Chi diventa testimone di giustizia per tutelare la propria vita e quella della propria famiglia perde la libertà di movimento, la normale vita di tutti i giorni, la possibilità di incontrarsi con parenti e amici. Tutto ciò coinvolge il nucleo familiare che si troveranno a condividere paure, sconforto e minacce.
Si riportano alcuni stralci del lunghissimo esposto presentato dall’onorevole Pippo Gennuso in merito alla mancata scorta alla sua famiglia.
L’onorevole Giuseppe Gennuso, testimone di giustizia per aver fatto condannare per estorsione il boss Vernengo e una sua collaboratrice, ha presentato nei giorni scorsi un articolato esposto indirizzato al ministro degli Interni, all’Ufficio centrale Interforze per la sicurezza personale, ai Prefetti di Palermo, Siracusa e Ragusa sulla mancata scorta in ordine alla vicenda che ha visto Gennuso e il figlio Riccardo protagonisti di una denuncia per estorsione contro il potente clan Vernengo e Paola Durante che gestiva il bar, fino alla condanna.
L’onorevole Gennuso lamenta per lui e la sua famiglia già da tempo di essere stato abbandonato dallo Stato e di non essere adeguatamente protetto, anche dopo diverse minacce ricevute a seguito delle sue denunce nei confronti dei mafiosi palermitani che gli chiedevano il pizzo per una delle sue attività imprenditoriali. “Ho denunciato i fratelli Cosimo e Giorgio Vernengo, figli del boss Pietro, capomafia – dichiarava in merito Gennuso – del mandamento di Santa Maria di Gesù. Non voglio fare la fine di Libero Grassi”. La Prefettura di Palermo gli ha assegnato una tutela dinamica ma il parlamentare chiede una valida protezione per lui e i suoi figli con un piano di sicurezza più efficace.
Come si ricorderà, nel processo di merito furono inflitte nove anni di reclusione per il boss di Santa Maria di Gesù Cosimo Vernengo e cinque anni per Paola Durante, che gestiva il bar di una sala bingo del quartiere di Villagrazia – acquisita dalla famiglia Gennuso – a Palermo. I due sono stati condannati per una estorsione ai danni dell’ex deputato regionale.
Tutto inizia dopo che Pippo Gennuso e il figlio Riccardo avevano acquisito l’attività del bingo a Palermo; l’inchiesta parte a seguito dell’acquisto del bar situato all’interno dell’attività del bingo, che sarebbe stato al centro di un ricatto da 50 mila euro a cui furono costretti a sottostare i Gennuso, ma questo accade soltanto dopo avere rilevato l’attività commerciale.
A denunciare l’estorsione da parte di Vernengo, Giuseppe Gennuso e il figlio, dopo che un inviato delle “Iene” aveva svolto degli accertamenti sulle pressioni di Vernengo. Per legge, infatti, quel bar non può avere una licenza a parte e una gestione separata da quella del titolare del bingo. E invece Vernengo, con la Durante la quale avrebbe fatto da prestanome e da tramite, avrebbe preteso 50 mila euro da pagare anche a rate per lasciare libero il locale. Gennuso, che col figlio Riccardo aveva deposto in aula e sostenuto anche un confronto con un altro teste durante la fasi del processo dopo una serrata collaborazione con inquirenti e investigatori, furono presa di mira con una serie di attentati sia nelle vicinanze dell’abitazione, sia a Palermo, e tutti dal sapore squisitamente mafioso.
“Sono stato deputato ma anche un imprenditore di lungo corso e rivesto importati cariche aziendali nell’ambito di società riconducibili alla propria famiglia composta – scrive nell’esposto Gennuso – dopo la prematura scomparsa di mia moglie, dai miei figli, Gennuso Luigi , Gennuso Salvatore e Gennuso Riccardo , tutti residenti a Rosolini.
“Tali società operano in diversi settori, compreso quello inerente concessioni da parte dei Monopoli di Stato, con sede a Rosolini, Roma e Siracusa e quello inerente il settore immobiliare, quale la società denominata “Gestione immobili e servizi srl”, ove ricopro la carica di procuratore generale.
Nel Luglio del 2015, la G.I.S. srl, unitamente ad altra società di famiglia, la “Somalia Games srl”, amministrata da mio figlio Gennuso Riccardo, ha acquisito il controllo societario della società denominata “Eredi Burgio Giuseppe di Gallo Alfredo Raul & C sas” , che opera a Palermo nella Via Villagrazia in zona Guadagna.
“In seguito ad una denuncia per estorsione formalizzata da me e da mio figlio Riccardo, i Carabinieri del Ros di Palermo e del Comando Provinciale di Palermo, hanno effettuato la c.d. operazione “Bingo Family”, che ha portato all’arresto di Cosimo Vernengo, del fratello Giorgio e di Paola Durante.
“I militari hanno, infatti, eseguito tre ordinanze di custodia cautelare in carcere nr.3706/2015 e 8823 /2016 RG., emesse dal Gip di Palermo su richiesta dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti dei predetti accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni della mia famiglia, come risulta dalla nota del 01.07.2016 redatta dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo.
“Non è certamente la prima volta – chiosa Gennuso nel suo esposto – che ho dovuto denunciare i mafiosi per le minacce e le richieste estorsive ricevute a danno delle mie attività imprenditoriali (fatti tutte documentati).
“Come già accaduto in passato, non ho mai ceduto alle intimidazioni ed alle pressanti richieste estorsive formulate dal locale clan malavitoso, attivo nella zona sud della provincia di Siracusa, che ho puntualmente denunciato nel lontano 1991, come da provvedimento che allego ( All. n.1). Quello dei Vernengo, legati alla famiglia di Santa Maria di Gesù, è un cognome storico e molto pericoloso nella mafia palermitana
“I due arrestati, infatti, sono i figli di Pietro Vernengo, soprannominato “u Tistuni”, che sta scontando una condanna all’ergastolo per omicidio. L’ operazione de quo, ha avuto ampio risalto negli organi di stampa ma, purtroppo, ha anche gettato nell’angoscia la mia famiglia.
“A seguito della predetta denuncia, sia io che i miei figli siamo stati inizialmente convocati dalle Forze dell’Ordine nonché dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal Sig. Prefetto di Palermo, ove è stata successivamente disposta una prima misura di sorveglianza c.d. “dinamica “.
“Questa è la forma più leggera di controllo ed è disposta nei casi in cui il pericolo è considerato “relativamente basso”; (un’automobile della Polizia passerà più volte al giorno nelle vicinanze del posto di lavoro o dell’abitazione della persona da proteggere).
“Tale “misura“ sembra sia – allo stato attuale – inspiegabilmente inattiva. Ad ogni modo, tale forma di “tutela” è assolutamente inidonea ed appare insufficiente a garantire un minimo grado di tutela, io ed i membri della mia famiglia temiamo una possibile e devastante reazione della cosca mafiosa nei nostri confronti ed infatti sono iniziati tutta una serie di eventi che sono stati già rappresentati al Dirigente del Commissariato di P.S. di Pachino, al Comandante della Stazione dei Carabinieri di Rosolini ed al Prefetto di Siracusa e Ragusa.
“Un altro grave episodio è avvenuto a Palermo nei pressi della predetta azienda ove alcuni soggetti hanno avvicinato il Sig. Mario Mannino che nell’ occasione accompagnava mio figlio Gennuso Riccardo, evidenziando allo stesso che l’unico rimedio per Gennuso Riccardo, apostrofato più volte “come pezzo di merda che ha fatto arrestare gli amici” (i Vernengo) era di “asciugarlo“ (ucciderlo). Un chiaro segnale dallo stile mafioso.
“Sia io che i miei figli, Luigi e Riccardo, abbiamo formalizzato delle richieste alla Prefettura di Siracusa per ottenere il rilascio del porto d’armi per difesa personale. Abbiamo anche richiesto di sollecitare l’adozione di provvedimenti di tutela più incisivi da parte della Prefettura, quali per esempio, controlli su appuntamento e spostamenti protetti soprattutto durante la tratta autostradale Siracusa – Palermo con eventuali staffette della Polizia per il tratto dell’itinerario. Tuttavia, dalla Prefettura non abbiamo ricevuto i riscontri auspicati, anzi, la mia richiesta di porto d’armi è stata rigettata e con successivo provvedimento è intervenuto anche un divieto di detenzione armi mentre quella dei miei figli è stata prima concessa e successivamente revocata compresa la detenzione.
“Ho appreso con molto stupore ed amarezza del primo rigetto della sollecitata richiesta di porto d’armi e ciò, nonostante tutti i pareri positivi delle Forze dell’Ordine, quali il Commissariato di P.S. di Pachino, del Comando Provinciale Carabinieri di Siracusa e della stessa Questura di Siracusa; tutti evidenziano una concreta esposizione a rischio che fa ritenere opportuno il rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale.
“Anche il Commissariato di P.S. di Pachino rilascia parere favorevole anche nell’interesse di implementare i profili di sicurezza. Il Comando Provinciale dei Carabinieri di Siracusa, afferma: “alla luce delle risultanze di attività investigative che hanno portato all’ individuazione di alcuni soggetti resisi responsabili di estorsione ai danni di attività commerciale, sita in Palermo, riconducibile ad alcuni componenti della famiglia Gennuso si ritiene che possa sussistere un attuale rischio in capo al Gennuso Giuseppe “. Ed ancora, ……” si evidenzia che il livello di rischio a cui è esposto il nominato in oggetto potrebbe essere compatibile con la concessione del beneficio richiesto”. Il Questore di Siracusa, evidenzia: “emerge in atto una concreta esposizione a rischio che fa ritenere opportuno il rilascio del titolo richiesto”.
Gennuso nel suo esposto chiede nella buona sostanze un diritto sacrosanto e per l’ennesima volta: “un concreto intervento delle Autorità e delle Istituzioni competenti al fine di evitare una sicura degenerazione dei fatti esposti che hanno già minato la salute psicofisica dell’intera famiglia, con l’adozione delle idonee misure di protezione e vigilanza a favore del mio nucleo familiare”.