Il Sistema Siracusa e i suoi dintorni senza quella denuncia degli otto magistrati della Procura aretusea circostanziata con riferimenti, nomi, cognomi, fatti e circostanze, non sarebbe mai stato scoperto. Siracusa in primis, mezza Italia e finanche tanti paesi esteri sarebbero rimasti succube di un sistema capace di condizionare la Giustizia degli uomini chissà per quando tempo ancora.
La morale nello spazio silente della magistratura italiana, in cui magistrati e giudici sono finiti in manette o indagati, con tanti casi clamorosi di corruzione, che non è di certo la panacea del male estremo. Gli otto magistrati nel “Caso Siracusa” hanno avviato dal loro interno la rivoluzione con un “repulisti” esploso con tutta la sua potenza, senza stupire in un primo momento chi continuava a suonare sorridendo il pianoforte con la musica stonata della presunzione senza accorgersi che il terreno della corruttela gli crollava sotto i piedi.
Nessuno credeva che magistrati, avvocati e i seguaci dell’attività criminale sarebbero finiti in carcere a poca distanza di un altro filone inquietante chiamato “Veleni in Procura” in cui un procuratore capo e un altro sostituto finirono trasferiti altrove. I processi sul Sistema Siracusa e dintorni hanno svelato come funzionava quella micidiale macchina della corruzione; ma ora, a bocce ferme, si scopre che i pubblici ministeri Federica Rende, Antonella Fradà e Antonio Carchietti che hanno coordinato le indagini, hanno scoperto solo una parte dell’apparato messo in piedi e su come sarebbero avvenuti gli episodi di illecito, legati alla corruzione di giudici, magistrati, uomini dei servizi segreti, mercenari d’ogni specie e su come siano state pilotate le tante inchieste giudiziarie. Per rimanere a casa nostra, per esempio, nei dintorni del petrolchimico.
Un momento difficile, confuso, per certi aspetti drammatico che segna una linea di demarcazione tra il passato e il futuro; si cerca di allontanare, dimenticare il presente carico di ossessioni e illusioni. In particolare la presunta corruzione del magistrato Giuseppe Mineo, accusato del reato di corruzione perché, da consigliere relatore del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana, avrebbe determinato il Cga ad assumere una decisione favorevole alle società Open Land ed AM Group Srl nell’ambito di contenziosi instaurati rispettivamente contro il Comune e la Sovrintendenza ai Beni culturali di Siracusa. Ma anche finanziamenti a partiti e movimenti. Affari con volti nuovi in cui sono coinvolti anche massoni e piduisti. Si scoprono lucrosi arbitrati, una montagna su consulenze legali e tecniche “viziate” e tanto altro ancora.
Una sorta di decomposizione della giustizia, sociale, politica che coinvolge il petrolchimico si scopre solo a partire dagli inizi degli Anni Duemila con l’operazione Mare Rosso, ma prima ancora con lo scandalo Isab e tanto altro ancora; rimbomba il caso della piattaforma dei rifiuti Oikothen, che vede alla fine dell’odissea giudiziaria assolvere l’ex sindaco di Augusta Massimo Carrubba: “perché i fatti non sussistono”. E non è solo questa la stranezza di una discesa in campo per un progetto ben congegnato fino a finire ai giorni nostri. Per avere un’idea dei danni causati, basta e avanza il colpaccio del mega risarcimento “Open Land” con il rischio reale di mandare in fallimento i conti del comune di Siracusa. Dissesto contenuto che i siracusani stanno ancora pagando con lacrime e sangue, mentre a pagare alla fine sono stati i siracusani, rei semplicemente di essere nati nella città di Archimede.
Insomma, il Sistema Siracusa non è stato ancora del tutto svelato. Molti dei personaggi coinvolti sono rimasti sconosciuti e impuniti. Luci, ombre, sussurra e grida, arrivano ancora oggi ad ogni mossa della magistratura di Messina, Roma, Milano, Perugia, o da altri distretti giudiziari, e si “espande” alle indagini che hanno coinvolto Luca Palamara, il sostituto procuratore ed ex consigliere del Csm accusato di corruzione e assumono le forme di un’inchiesta a scoppio ritardato, con effetto domino su altri magistrati e altre sedi giudiziarie.
Gli investigatori della Guardia di Finanza, su ordine dei magistrati di Perugia, a suo tempo hanno perquisito il suo ufficio in Procura a Roma. Spuntano nomi illustri di altri indagati che avrebbero favorito Palamara per eludere le indagini a suo carico.
Un altro filone della stessa indagine riguarda invece le accuse nei confronti di altri magistrati, con le ipotesi di reato di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. Quasi tutti, come Palamara, esponenti di Unicost, la potente corrente di centro delle toghe.
Dopo la lunga stagione dei veleni in Procura a Siracusa e il trasferimento su domanda di due sostituti e del procuratore capo, inizia l’iter per la nomina da parte del Csm del nuovo procuratore della Repubblica presso il tribunale di Siracusa. Dopo una lunga trafila di nomi e cognomi, alla fine il Consiglio Superiore della Magistratura ha nominato all’unanimità Sabrina Gambino, procuratore di Siracusa. Un curriculum di tutto rispetto. 53 anni, originaria di Caltagirone, è stata scelta tra altri due magistrati catanesi, che erano rimasti in lizza per occupare la carica che è stata fino al mese di settembre del 2018 di Francesco Paolo Giordano. Una nomina che mette tutti d’accordo.
La nuova fase dura poca. Arriva la vicenda che coinvolge Luca Palamara che di riflesso riporta a Siracusa l’attenzione della pubblica opinione; dopo l’espulsione dall’Associazione nazionale magistrati, di cui Palamara è stato presidente, nei giorni scorsi ha lanciato accuse pesantissime sull’esistenza di un “sistema catanese di nomine clientelari” all’interno della magistratura, tirando in ballo uno degli esponenti simbolo di Unicost, Bruno Di Marco, ex presidente del tribunale di Catania, attuale componente del collegio dei probiviri dell’Anm. Quest’ultimo si difende: “A parte l’indignazione che uno prova per le falsità che vengono propinate, l’unica circostanza specifica che Palamara ha evocato per suggestionare è quella che fa riferimento al procedimento disciplinare nei confronti del dottore Giancalo Longo”. Palamara minaccia altre rivelazioni, ma per il momento solo annunci.
E lo stesso Bruno Di Marco che dichiara di aver difeso dalle accuse Giancarlo Longo per quell’episodio che è stato assolto, per chiarire che poi non l’ha più sentito né visto. In effetti, si tratta un fatto risalente a dodici anni prima delle questioni giudiziarie di Longo.
Dal 2005 in poi è stata favorita la degenerazione del sistema delle correnti, che fino agli anni ’90 hanno consentito alla magistratura di crescere adeguandosi al modello costituzionale, per spogliare di quel modello burocratico che proiettava la magistratura verso una fase abbastanza critica.
Altro episodio di rilievo (per fortuna della Giustizia) è quello che accadde nella Procura di Siracusa; un gruppo di magistrati siracusani che si è rivolto al Csm lamentando disfunzioni nella gestione della Procura di Siracusa. Il Csm ha adottato le sue decisioni. In ambienti giornalistici si parlerebbe di una chat con Palamara e componenti di Unicost per una strategia da tenere sul caso Giordano.
Palamara parla solo del procedimento disciplinare a carico dell’ex Pm Longo; vicenda che riguarda soltanto il Pm coinvolto nel Sistema Siracusa. Perché? Forse ha in mente un piano studiato a tavolino, secondo la logica delle scatole cinesi per ragguardare allo specchio le reazioni e decidere di volta in volta la strategia più consona.
Palamara attacca: “Ognuno aveva qualcosa da chiedere, anche chi oggi si strappa le vesti. Penso ad alcuni componenti del collegio dei probiviri che oggi chiedono la mia espulsione, oppure a quelli che ricoprono ruoli di vertice all’interno del gruppo di Unicost, o addirittura ad alcuni di quelli che siedono nell’attuale Comitato direttivo centrale e che hanno rimosso il ricordo delle loro cene e dei loro incontri con i responsabili Giustizia dei partiti di riferimento”.
Il tutto, è legato alle vicende del cosiddetto “Sistema Siracusa”, venute alla luce grazie anche all’esposto presentato dagli 8 sostituti procuratori in servizio alla Procura di Siracusa. In quell’esposto i magistrati “rappresentano di aver osservato fatti e situazioni così gravi da ingenerare preoccupazione per le sorti dell’amministrazione della giustizia, dovuti a infiltrazioni e interferenze da parte di soggetti portatori di specifici interessi economici e imprenditoriali, tali da condizionare l’attività investigativa e giurisdizionale dell’ufficio in cui gli stessi lavorano”.
Quella del nuovo procuratore della Repubblica di Siracusa Sabrina Gambino non è stata finora e non sarà in futuro una eredita di facile gestione. Oltre ai nuovi veleni, la criminalità nel territorio siracusano è silenziosa, ma abbastanza organizzata ed estesa in lungo e in largo. E la condizione più pericolosa rimane il connubio tra le anime del potere, magistratura compresa; ma in prima fila rimane la politica e subito dopo la mafia (o sistema mafioso in generale che dir si voglia), quella che arriva dall’esterno e che domina da sempre la scena economica e sociale, oltre a quella da qualche tempo politica, nella provincia di Siracusa.
Sorvegliato speciale ritorna l’appalto del nuovo ospedale di Siracusa che da tempo è nell’occhio del ciclone della politica e della lobby degli appalti pubblici. Nel ventaglio del malaffare, tale siffatta condizione si conforma nel comparto del traffico di stupefacenti a largo raggio, ben organizzato e a tratti violento. Si registra con progressione la compravendita dei supermercati nella grande distribuzione, così come e nel comparto alimentare con la presenza sempre più insidiosa di commercianti in associazione con la mafia. Un metodo insospettabile per riciclare e incassare in contanti e pagare alla scadenza delle fatture. Un circolo vizioso che la magistratura inquirente ha più volte scoperto e fatto piena luce che rimane un nervo scoperto da inserire nel paniere delle inchieste. La Sanità sia pubblica sia privata resta nel mirino delle Procure. L’evasione fiscale è un punto debole del sistema: medici e poliambulatori sono restii a rilasciare fatture e ricevute fiscali, mentre gli scontrini in generale sono assenti nella volontà di commercianti e artigiani. Nel territorio siracusano si scopre come l’intreccio della corruzione e dell’associazione per delinquere non è limitato al privato, ma si espande nella scena della pubblica amministrazione con i lavori pubblici e le mille consulenze a sfondo politico-elettorale, oltre che nell’economia sommersa a tutti i livelli. Dulcis in fundo, le pericolose tematiche dell’inquinamento selvaggio nel territorio del Petrolchimico siracusano.
L’ultima inchiesta complessa è iniziata con il fascicolo aperto dall’ex procuratore capo Francesco Paolo Giordano e ripresa a largo raggio dal procuratore Fabio Scavone che ha portato all’accusa e all’iscrizione a vario titolo nel registro degli indagati oltre venti persone tra dirigenti, capi reparto e tecnici, oltre al sequestro di diversi impianti. “Non bisogna essere necessariamente colpevoli per aver paura dei magistrati”, scrive Jorge Louis Borges, e questo perché la Giustizia è fallibile e corruttibile. Il riferimento è alla scena della storia del territorio siracusano che negli ultimi 15anni tiene il banco tra corruzione e tentativi di delegittimare uomini onesti, liberi professionisti, magistrati, imprenditori e a macchia di leopardo tutti i pionieri della legalità. E questo mentre il pianista continua a suonare incurante della tempesta che fuori fa tremare i muri dell’omertà. Veleni che durano da tanti anni; esattamente fin dal 2003 in concomitanza con l’operazione Mare Rosso. Chiamatelo come vi pare, ma il “Sistema Siracusa” è stato debellato grazie alla denuncia dei coraggiosi Pubblici ministeri che firmarono l’esposto contro l’ex Pm Giancarlo Longo, gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore e tutti i dintorni del corrotto sistema. Sono: Antonio Nicastro, Magda Guarnaccia, Davide Lucignani, Salvatore Nicola Grillo, Andrea Palmieri, Vincenzo Nitti, Tommaso Pagano, Margherita Brianese.
I quattro cavalieri dell’Apocalisse ovviamente non bastavano a portare la punizione divina a chi era riuscito a ingaggiare più diavoli che uomini, infestando il palazzo; e così arrivano nel silenzio della notte gli otto eroi togati temerari e determinati a sconfiggere quel mostro sinistro che si era impadronito del potere nel palazzo della Giustizia siracusana liberando dall’assedio della corruzione il volgere fluente dei diritti e dei doveri della società civile.
L’esistenza ormai di una dilagante questione morale nella società liquida senza il necessario zoccolo duro dei valori anche dentro la magistratura italiana, diventa lo sviluppo degli anticorpi all’interno di una categoria sicuramente nei fatti meno auto-clemente di altre. Non fosse altro per gli interrogativi che la stragrande maggioranza di magistrati, davvero servitori dello Stato e vanto delle classi dirigenti di questa superba nazione chiamata Italia; ma rimane la smobilitante visione del ruolo principale teorizzato dai magistrati fedeli al dovere contro la loro stessa vita, senza mai svendere, svilire o barattare il prestigio necessario per continuare ad amministrare la Giustizia, senza condizionamenti dell’isolato “corrotto” di turno che deve essere subito scoperto e annientato.
Si badi bene. C’è sempre un filo rosso che collega la mafia alla politica attraverso “l’elegante signora” chiamata corruzione. Nella società moderna, così come in politica, la putrefazione della struttura sociale è in crescita; questo attraverso una metodologia originale, che censisce ogni scambio illecito che coinvolge direttamente uomini politici anche all’interno di altri reati, come il concorso esterno in associazione mafiosa, il voto di scambio, ma anche in un quadro della corruzione ad ogni azione nei consigli comunali, regionali, alla Camera e al Senato, oltre che nelle cariche di sottogoverno; tutto si rivela con dettagli interessanti, come la crescita esponenziale di vicende di corruzione in presenza della criminalità organizzata soprattutto al sud, dove si registra un forte aumento dei reati associativi in cui si annidano vicende di corruzione.
Le alleanze tra la mafia e la politica s’intrecciano ogni giorno e non dipende solo da una diversa strategia repressiva degli organi di contrasto, ma dalla natura stessa della corruzione, che si presenta sempre più organizzata e variegata con altre forme di criminalità, ramificandosi nella società attuale come fosse una regola istituzionale della democrazia.
Il ricambio generazionale, sta affermando un numero sempre maggiore d’imprenditori, mentre crescono le figure di liberi professionisti del malaffare, oltre i vecchi colletti bianchi. I processi di globalizzazione economica e culturale, si sono estese e diffuse su larga scala. Siamo di fronte ad una perversa operazione di criminalizzazione della vita quotidiana, che si avvale di molteplici strumenti e meccanismi economici, sociali, politici, legislativi, così come il regime proibizionista vigente in materia dell’uso della droga, del gioco d’azzardo e via dicendo.
Oggi il confine tra legalità e illegalità è inesistente tra economia reale e la cosiddetta mafia capitalista, inserita nei circuiti finanziari istituzionali in connubio con la politica e la criminalità mafiosa intesa come potere e niente può fermarla, nemmeno il voto di protesta massiccio; occorre cambiare mentalità e debellare la corruzione e il malaffare. Ma sarà davvero difficile ritornare nei canoni della civiltà e della legalità, dopo aver assaporato facilmente il guadagno dei soldi, il piacere del sesso e del potere, che sono ormai le carte da gioco, rimaste sul tavolo del popolo vittima delle lobby del potere che decidono cosa dobbiamo mangiare, fumare, leggere sui giornali o ascoltare in Tv.
Per rimanere nel nostro brodo locale, dopo lo scardinamento di sodalizi criminali creato da vecchi colletti bianchi di cui, secondo fonti giudiziari qualificati, sarebbero rimasti ancora tanti lati oscuri, nella provincia di Siracusa rimane il sospetto che siano numerosi i contatti tra i “facilitatori” con i galloni delegati da menti raffinati in connubio con la politica a più livelli istituzionali. Anche se non si può parlare di mafia nel termine con cui lo stereotipo collettivo definisce il fenomeno, estirpare la mafia, meglio dire il modo di pensare mafioso, è difficile se non impossibile perché fa parte della struttura sociale e culturale del popolo siciliano, come la ’ndrangheta lo è per quello calabrese e la camorra di quello napoletano. Nel tempo il legame tra politica e mafia è divenuto un aspetto essenziale del controllo e della gestione di appalti e dei fondi pubblici. Sfruttando la leva di complicità e omertà, in molti territori dell’Italia corrotta le scelte politiche avvengono spesso per convenienze “mafiose”.
Sono migliaia i casi di consulenti nominati senza alcun motivo, ruolo o necessità, di appalti pilotati in favore di società controllate, da appartenenti alla mafia, o da delinquenti abituali, di speculazioni legati ai piani regolatori comunali, di leggi regionali a favore di talune categorie e via così fino a fondo pagina. Per questo motivo sono sorte alcune leggi antimafia volte a limitare le collusioni, queste leggi provocano ogni anno lo scioglimento di diversi consigli comunali sparsi nel territorio Italiano per infiltrazione mafiosa, ma sono state superate dalla nuova strategia dettata dalla corruzione dilagante. Fatta la legge, trovato l’inganno.
L’infiltrazione mafiosa avviene grazie al consenso dei cittadini ignari, sfruttando la leva della disoccupazione e della necessità. In molte aree è tacitamente sfruttato il voto di scambio, senza un’apparente mobilitazione da parte dello Stato, e il territorio siracusano non è immune da questo fenomeno latente.
Il quadro delle presenze criminali mafiose e dei loro collegamenti è più che preoccupante. E accanto alle forme criminali estreme, collegate con le associazioni principi, vi è una criminalità locale meno pubblicizzata e conosciuta la quale, tuttavia, è forte e attiva e rivendica una propria autonomia, una propria soggettività, una capacità operativa con settori d’intervento a ventaglio. Un pericolo che avanza in silenzio e che a volte non si vuole vedere. La cultura istituzionale parte dal concetto che è l’uomo, il pericolo e non la sua attività. Spesso i tentativi di penetrazione sono molto subdoli, invisibili, e per questo occorre vigilare con la regolare denuncia e tangibilità verso il grave problema sociale, politico, economico.
La mafia è molto attiva in territori nei quali circolano flussi enormi di denaro, possibilità d’investimento e della depurazione del denaro sporco, di coperture, di mimetizzazione dei movimenti con allo sfondo il crimine organizzato, perché effettivamente è nel ricco e florido mondo degli appalti pubblici che la mafia fa i suoi soldi, gli affari, con una copertura a prova di bomba tra connubi.
Le differenze sono sempre vicine. La politica dovrebbe agire con schemi legalizzati dallo stato di diritto democratico, dietro la delega del popolo, mentre la mafia per raggiungere gli obiettivi utilizza la violenza, il condizionamento attraverso la paura della morte, con la naturale tendenza a sostituirsi alla legge dello stato democratico, con l’azione violenta e il prestigio personale dei mafiosi. Organizzati in mandamento, squadra, decina, clan, con la possibilità di diventare partiti politici, mischiando i buoni e i cattivi per confondere le idee alla pubblica opinione. Ecco allora la logica. Con i mezzi disponibili si possono raggiungono gli scopi desiderati. Esattamente quello che fa la politica, quindi i politicanti, quando nel chiedere il voto, promettono un posto di lavoro, una licenza commerciale prima negata, o minacciano di colpire nel caso del diniego, la stessa cosa per la provvista del denaro necessario all’attività del gruppo. Il politico, si corrompe e quindi ruba al popolo il pubblico denaro, ricatta e agisce contro o in favore di qualcuno e di qualcosa per un tornaconto personale o di partito o della lobby d’appartenenza, il mafioso con lo stesso identico modo e sistema ottiene lo stesso risultato, estorcendo e ricattando. Si tratta di capire chi per primo ha copiato l’altro, considerato che già nell’Ottocento si faceva buon uso della corruzione e dell’appropriazione indebita del pubblico denaro da parte degli eletti.
Non esiste nessuna differenza nell’organizzare la costruzione di un centro commerciale per speculare sul prezzo del petrolio ad ogni costo, o la per la realizzazione di un gruppo di villette e per raggiungere l’obiettivo si corrompe e si organizza, coinvolgendo pezzi delle istituzioni dello Stato democratico, tradendo la fiducia di amici e compari; o come realizzare il nuovo ospedale su un terreno dove si vuole speculare, pilotando l’appalto verso una società amica degli amici della politica; così come per la realizzazione del nuovo cimitero cittadino, oppure gestire al limite delle leggi l’appalto della raccolta dei rifiuti urbani, la gestione degli asili nido, o pilotare la gara per lo smaltimento dei rifiuti, la gara per il nuovo appalto della gestione idrica e fognante, dell’illuminazione pubblica della città e del sistema semaforico, oppure per la concessione del servizio dei parcheggi pubblici o strisce blu ad amici che contribuiscono alle spese della politica, o come altro vi pare, con l’attività dell’organizzazione di tipo mafiosa al fine di conseguire illeciti guadagni. In entrambi i casi, l’obiettivo è sempre lo stesso, con la differenza che la mafia-politica rischia molto meno in quanto si trova in vantaggio rispetto alla delinquenza organizzata, che agisce senza la copertura, la connivenza, dell’attività cosiddetta politica dall’interno del Palazzo. Ecco perché i consigli comunali a maggioranza di corrotti trovano facilmente i corruttori, mafiosi o anche imprenditori dalla fedina penale integra.
È la logica del controllo del potere che la mafia-politica ha da sempre operato, nella sinottica della scienza sociale di riferimento, con l’applicazione dell’oligarchia nel territorio, fuori dagli schemi di partito o di corrente, ma organizzati come a dei veri clan o cricche che dir si voglia. Oggi lo scenario non è cambiato di molto; si vuole condizionare l’intera attività amministrativa per mettere le mani sui miliardi degli appalti, anche con la violenza, che si distingue dalla ragione, ma che soffoca ogni atto democratico e imprime nel pensiero dell’esecutore la visibilità nascosta, perdendo la necessaria lucidità, come se dopo l’intimidazione, l’obiettivo è stato raggiunto, in una logica disperata che cerca di realizzare con la violenza ciò che si chiama vita democratica, politica.
Ogni cambiamento è un rischio senza le idee di ricerca; conserva chi ha da perdere, ma la critica è l’idea politica degli altri, la rivoluzione è di tutti. È nessuna soluzione rivoluzionaria è senza un passato, un presente e un futuro. Gli schiavi periranno se non si ribelleranno. È chiaro che nessuno vuole accettare questa tesi estrema, ma la logica non è una favola, che anzi vuole guadagnare la posizione che merita nella graduatoria del linguaggio universale nell’era cosiddetta moderna. Nessuno accetterà mai tale siffatta condizione, poiché insiste il naturale coinvolgimento di una buona parte dello Stato democratico con i sui molteplici pilastri istituzionali, obiettando che così ogni istituzione potrebbe essere dichiarata mafiosa. In fondo alla fine forse è proprio così.
Su tutta la delicata materia, da parte delle istituzioni, dopo la ricerca sul campo e nel clima generale, sono stati ravvisati profili di rischio elevatissimi per la democrazia; diventa una sfida nel momento in cui uomini eletti dalla volontà popolare nella maniera inversa diventano mafiosi. Emerge una crescente insofferenza da parte della mafia-politica per l’impegno con cui la magistratura inquirente porta avanti i profili investigativi contro molti rappresentati istituzionali sospettati di fare il “doppio gioco”, compreso il prestanome di turno. Una pariglia che si configura come un’alleanza con la mafia, la ndrangheta e la camorra, la lobby della politica organizzata, per gli aspetti silenti in cui appare relegata in maniera sospetta. Il terreno di gioco si sposta sul piano apertamente politico istituzionale, con la concussione diretta di buona parte di dirigenti, tecnici e impiegati della pubblica amministrazione, dove è identificata l’enorme fetta di corruzione denunciata da qualche tempo dalla magistratura contabile oltre che da quella inquirente. Oggi la mafia-politica è, nei fatti pratici, la più potente delle lobby in campo per il controllo del potere economico, politico e sociale; inoltre gode della fiducia popolare e ha costruito il suo impero all’ombra della legalità, dall’interno del Palazzo del potere, alterando il tessuto sociale e culturale, divenendo a sua volta sub-cultura per l’intera pubblica opinione, specie in Sicilia, in Calabria, in Puglia e in Campania. Ma Roma rimane la sede naturale, la capitale, oltre che dell’Italia democratica, anche della mafia-politica.
L’attacco reciproco della magistratura e della politica è stato da sempre sviluppatoconvenientemente dai rispettivi vertici a più livelli, attraverso gli uomini più fidati; questi ultimi più per conveniente condizione che per mera attività, che come una cassa di risonanza si è amplificata fino a farla diventare apparentemente veritiera (acculturamento di massa), riuscendo a convincere buona parte della pubblica opinione, specie tra quelli che hanno qualche pendenza con la giustizia penale o civile, fino a diventare un tormentone nazionale, e alla progressiva metastasi in tutte le regioni d’Italia e finanche all’estero. La magistratura a volte non ha reagito nei termini politici in cui la risposta è il campo naturale, come nel “Caso Siracusa” avvolgendo e trattando caso per caso, come se non fosse una diffusione del fenomeno a livello generalizzato ma bensì isolato. Per fortuna non tutta la magistratura e la politica sono lì a reggere questo sinistro gioco. Si trova una buona maggioranza dei politici e togati nel fronte diametralmente opposto; quindi non è tutta corruzione, ma il condizionamento dell’appartenenza alla rispettiva “casta” è ancora forte.
L’importanza del coraggio su tutti i fronti è necessaria nel momento in cui si vuole annientare il fenomeno para-mafioso, anche con il cambiamento delle regole del gioco al massacro, registrato più volte e a tutti i livelli istituzionali. Il coinvolgimento di uomini della politica in appalti e nel controllo di settori vitali di una buona parte della società economica italiana, sono fattori di rischio da non sottovalutare. I politici condannati per l’attività del concorso esterno in associazione mafiosa, sono diventati davvero tanti, troppi, e tutti di primo piano nello scenario politico sia meridionale e sia settentrionale. La Sicilia rimane, purtroppo, al primo posto nella graduatoria. Tanti quelli scoperti e condannati, ma molti di più sono quelli che rimangono in attività e con tanta forza di potere politico-mafioso ancora in mano. Il fenomeno della mafia-politica rimane un reale pericolo per le istituzioni democratiche. Si tratta di capire chi deve essere il giudice terzo tra due poteri forti delle istituzioni: la politica e la magistratura.
Il conflitto è sempre più emergente per le competenze e i poteri istituzionali messi in discussione da parte di chi attraverso l’organizzazione della mafia politica controlla il potere per rubare il pubblico denaro. Ma l’antimafia è un’altra cosa. Ovviamente, quella vera!
La corruzione nella società moderna così come in politica è in crescita, attraverso una metodologia originale, che censisce ogni scambio illecito che coinvolge direttamente uomini politici anche all’interno di altri reati, come il concorso esterno in associazione mafiosa, il voto di scambio, ma anche in un quadro della corruzione ad ogni azione nei consigli comunali, regionali, alla Camera e al Senato, oltre che nelle cariche di sottogoverno; tutto si rivela con dettagli interessanti, come la crescita esponenziale di vicende di corruzione in presenza della criminalità organizzata soprattutto al sud, dove si registra un forte aumento dei reati associativi in cui si annidano vicende di corruzione. Che futuro ci aspetta? Si spera nel ravvedimento dei corrotti. Ma sono tanti, troppi, quindi…
Concetto Alota