“Gli spettacoli non sono più quelli di una volta!” Battuta da nonno davanti al televisore. Ci è quasi scappata dopo esserci sorbiti le troppo lunghe serate del Festival di Sanremo.
Tranquilli, non abbiamo intenzione di lanciarci in una approfondita o superficiale analisi musicale o anche solo spettacolare del prodotto presentato quest’anno, in gara e fuori, sul palcoscenico più famoso della nazione.
I cronisti non lesinano in drammaticità quando commentano le battaglie fra concorrenti, le sorprese, i colpi di scena, spesso così bene orchestrati che c’è da sospettare un’accorta regia al losco fine di aumentare la presa sul pubblico.
Effettivamente al Teatro Ariston la tensione si spreca, le carriere sono a rischio, la possibilità di perdere la faccia e i contratti è concreta…
Vediamo, a proposito di situazioni spettacolari un po’ più intense, il programma di un altro teatro, di un genere diverso: più grande, più bello, ancora più famoso, tutto marmi e bronzi; in un tempo lontanissimo da noi, con la certezza per i partecipanti all’evento di perderci non solo la faccia, ma anche la pelle.
Dunque, ecco la locandina di un giorno di festa al Colosseo.
Mattino: combattimenti di animali selvaggi, uno contro l’altro o a gruppi, e battute di caccia in grandiose scenografie. I numeri degli animali sterminati per il divertimento del pubblico sono terrificanti.
Sotto Pompeo, venti elefanti, seicento leoni, quattrocentodieci leopardi, e scimmie a non finire. Con Augusto, tremilacinquecento bestie da preda. Per l’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio, in tutto novemila. Undicimila sotto Traiano. L’estinzione di parecchie specie asiatiche e africane è cominciata negli anfiteatri dell’Impero.
Alla fine della mattinata l’arena trabocca di bestie (e uomini) sbudellati in mezzo a un fetore di sangue e interiora.
Presto tutto deve essere ripulito per la seconda parte del programma: le esecuzioni dei condannati a morte. Che sono spettacolari, per dare l’esempio certamente, ma anche per soddisfare il gusto sadico della folla.
Uomini messi a duellare e ammazzarsi fra loro, crocefissi, cosparsi di pece e bruciati, fatti divorare vivi dalle belve, addirittura costretti a rappresentare i miti della tradizione (quelli senza lieto fine, naturalmente), indossando il costume del personaggio per concludere la recita ammazzati in modi molto pittoreschi e molto graditi al pubblico.
Dopo di che un simpatico personaggio con la maschera di Caronte va in giro per l’arena menando gran colpi di mazza in testa ai caduti per accertarsi che siano morti per davvero, e solo allora un suo compare aggancia i corpi con un uncino e li trascina fuori. Anche loro a centinaia.
A questo punto, di nuovo l’anfiteatro è pieno di sangue, viscere e cervelli.
Ancora una veloce pulizia, perché è ormai pomeriggio e devono cominciare i duelli dei gladiatori, pezzo forte del programma, che vanno avanti fino al tramonto. Inutile continuare la descrizione della carneficina. Basti dire che per gli spettacoli importanti erano parecchie centinaia, se non migliaia le coppie che combattevano; e molto, ma molto pochi quelli che riuscivano a salvare la vita. Altri cadaveri a mucchi nell’arena.
In pratica i bravi cittadini romani andavano allo stadio per vedere ammazzare. Uomini e bestie. Che bella, civilissima festa della morte.
Piccola nota di colore: pare che parecchi imperatori, fra cui Commodo e Settimio Severo si divertissero a combattere (in tuta sicurezza, ovvio) anche loro nell’arena.
Sarebbe un po’ come immaginare, oggi, Amadeus che scende al centro dell’anfiteatro per presentare l’ultimo gladiatore, circondato da un branco di leoni affamati.
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