Il merito è tutto suo. O forse stiamo esagerando un po’?
Di Mozart stiamo parlando. Quando decise di mollare la sua posizione alla corte dell’Arcivescovo di Salisburgo di sicuro non si rendeva conto che stava cambiando il destino di tutti noi. Era la prima volta che un compositore del suo livello si scrollava di dosso quel vincolo di sudditanza alla Chiesa e ai nobili e decideva di lavorare come libero professionista, legato solo al mercato.
Di lì a poco questa nuova posizione sarebbe diventata il presupposto indispensabile per l’affermarsi in musica dell’individualismo romantico.
Ma non di questo vogliamo parlare, bensì del forse banale ma socialmente determinante meccanismo del compenso per la creatività artistica.
Fino all’epoca di Mozart, infatti, musicisti come lui e come suo padre Leopold, che non fossero suonatori da strada, trovavano una sistemazione solamente impiegandosi in pianta stabile presso una delle molte corti o istituzioni collegate; il loro ruolo era subalterno all’aristocrazia, equiparato a quello del personale di servizio. Leopold Mozart si era adattato a questo tipo di sistemazione e si aspettava che anche suo figlio facesse carriera come musicista di corte, magari in una corte più grande e più ricca di quella di Salisburgo; ma Wolfgang, quando fu maggiorenne, si ribellò alla schiavitù dei preti, dei nobili (e già che c’era anche a quella di suo padre).
Si può anche dire che perse la partita, ma intanto aveva aperto la strada.
Perché fino alla fine del ‘700 la musica, a parte quella di chiesa, era mero intrattenimento. L’artista autonomo che si affidava per il successo al pubblico non esisteva. I concerti a pagamento, le accademie, erano all’inizio. Per tradizione tutti i musicisti preferivano basarsi sullo stipendio di un principe. Era inconcepibile che un compositore potesse sopravvivere grazie al mercato, anche perché il diritto d’autore ancora non esisteva.
Il compositore di un’opera o di una sinfonia era pagato solo per la prima esecuzione, e da quel momento non vedeva più un centesimo per le repliche. Se il prodotto aveva successo, allora partiva un piccolo commercio di arie e brani staccati, ma la loro diffusione era un problema perché tutta la musica era copiata a mano. I veri padroni del mercato erano i copisti che spesso riuscivano a intercettare gli incassi. Talvolta erano anche compositori e completavano le partiture lasciate a metà dagli autori, (anche da Mozart, che così riusciva a comporre più velocemente, tanto le parti mancanti rientravano in modelli standard, facili da integrare). Leopoldo stesso fu copista per suo figlio.
I primi veri diritti d’autore arrivano grazie a Napoleone, a fine secolo. L’unico Mozart che vede due talleri è Carl Thomas, che nel 1844, 53 anni dopo la morte del padre si può permettere di acquistare un piccolo podere in Brianza con i diritti di alcune rappresentazione delle Nozze di Figaro in Francia.
Poi, con Beethoven, comincia ad affermarsi seriamente il compositore autonomo; e via, sempre meglio, fino a una data importante per gli italiani, il 1882, in cui viene fondata la Società degli Autori da Verdi, De Amicis, Carducci, Sonzogno, e altri importanti personaggi della cultura e dello spettacolo. |
In seguito la leggenda di un Mozart morto in miseria fu smentita da studi che chiarirono come il compositore guadagnasse in realtà, nei suoi anni viennesi, cifre considerevoli; ma questo ricco, anche se non impetuoso fiume di denaro finiva sui tavoli da gioco e in un vortice di spese sconsiderate al quale, insieme a lui, partecipava allegramente e attivamente anche la Signora Mozart, Constanze.
Ecco il perché del funerale da poveri e della fossa comune.
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