La riflessione di Capodanno – di Concetto Alota
“Viviamo in una democrazia apparente, in cui la libertà è forse soltanto un’illusione della nostra mente…” (Stefano Nasetti)
La decadenza del consiglio comunale di Siracusa si deve all’errore di una consigliera che all’ultimo momento ha confermato la sua presenza, e il rendiconto 2018 viene bocciato, firmando così la fine del civico consesso e dell’azione democratica che deve garantire nel contesto amministrativo. La bocciatura del rendiconto ha fatto arrivare il commissario ad acta che ha approvato l’atto. La legge prevede la decadenza dell’assemblea cittadina, piovuta a febbraio 2020 per decreto del presidente della Regione. Sindaco e giunta rimangono in sella fino a fine mandato. Una legge burla della Regione Siciliana che non esiste nel resto d’Italia.
Ma, al di là della mera questione giuridica, dal punto di vista politico, la città ha perduto il dibattito; manca il necessario contradditorio tra maggioranza e opposizione, tra amministrazione comunale e rappresentanza dei cittadini. Una sorta di dittatura non programmata ma indotta da una legge assurda. La città è allo sbando. E non occorre l’indovino per capire che la musica è cambiata in peggio. Si sente aria di “senso unico” nelle scelte. E questo mentre i disagi dei residenti sono sotto gli occhi di tutti. Ultima in ordine di tempo, il mancato recapito della comunicazione per il pagamento della Tari; termine fissato per la fine di novembre, ma ai cittadini finora non è arrivata alcuna comunicazione, almeno nella maggior parte dei casi. La domanda: saranno applicate ai cittadini le sanzioni del ritardato pagamento, oppure no?
Lo scioglimento del consiglio comunale aretuseo, fa la pariglia con la questione delle schede elettorale sparite che hanno poi determinato il risultato finale per l’elezione dell’Assemblea regionale siciliana 8 anni fa. E se per la questione che riguarda il consiglio comunale di Siracusa per il conteggio delle schede su circa 40 mila si archivia tutto, per la questione della ripetizione del voto al Parlamento siciliano, com’è ormai storia, nelle nove sezioni di Pachino e Rosolini, si svolge la votazione per solo per circa 1500 voti incriminati.
Si potrebbe obiettare che sono due cose diverse, ma senza la sparizione delle schede non si ritornava al voto che, in effetti, ha poi cambiato il risultato. Un piano scientificamente studiato a tavolino, nei minimi termini, centrando in pieno l’obiettivo prefissato per la ripetizione delle mini elezioni regionali nei comuni di Pachino e Rosolini e cambiare così le carte in tavola. Sarebbe bastato solo il nuovo conteggio dei voti, così come auspicato da più parti.
Chi fece sparire le schede incriminate aveva programmato il tutto, costringendo, di fatto e nel diritto, le istituzioni a far ritornare al voto gli elettori. Cosa che non è stata fatta per le votazioni del consiglio comunale di Siracusa, perché le schede, bene o male, c’erano tutte, a parte le possibili discrepanze fisiologiche, ma fu tutto negato dalla magistratura amministrativa.
Come dire, due pesi e due misure. La cronaca: la Cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso dell’onorevole Pippo Gennuso. L’Ars ha preso atto della comunicazione della Suprema Corte e ha dichiarato decaduto Gennuso dalla carica di deputato all’Ars. Il reato per il quale è stato condannato è quello di “traffico di influenze” ed è legato alla vicenda delle elezioni ripetute in alcuni seggi. Ripetizione che consentì a Gennuso di tornare all’Ars a discapito di Pippo Gianni che allora perse il seggio, conquistato due anni prima. Com’è noto, la sentenza contestata è quella del collegio presieduto dal giudice Raffaele Maria de Lipsis che, accogliendo il ricorso di Gennuso, annullò le elezioni regionali a Siracusa facendo poi rivotare e favorendo così l’elezione di Gennuso.
Quella mini-tornata elettorale sarebbe stata viziata con l’orientamento del giudizio del Cga di Palermo, com’è ormai noto per le sentenze di patteggiamento che hanno riguardato le persone coinvolte nella vicenda.
L’applicazione per Gennuso della legge Severino e la decadenza dalla carica dopo la pronuncia della Cassazione, ha fatto il resto. Al posto di Gennuso torna a Sala d’Ercole la melillese Daniela Ternullo, che lo aveva già sostituito in occasione della prima sospensione.
Ora si aspetta l’esito del processo a carico di Sebastiano Russo, l’operatore giudiziario, accusato della sparizione delle schede elettorali in occasione delle elezioni regionali dell’ottobre 2012. Al processo si è registrata la costituzione di parte civile di due parlamentari regionali e di un ex deputato oltre che dell’assessorato regionale alle Attività Produttive. In particolare, hanno deciso di costituirsi in giudizio l’on. Giuseppe Gennuso con il patrocinio dell’avvocato Aldo Ganci, l’ex deputato all’Ars Pippo Gianni e l’ex presidente della commissione regionale alle Attività produttive, Bruno Marziano, entrambi con il patrocinio dell’avvocato Ezechia Paolo Reale.
Si torna in aula il 20 gennaio per l’esame di altri testi. Ma il processo si sta avviando alle conclusioni e ben presto sapremo quale verità giudiziaria emerge. Come si ricorderà, la vicenda giudiziaria è scoppiata a seguito di due sentenze, emesse dal Cga di Palermo, con le quali i giudici sancivano che alcuni verbali di sezione elettorale non avrebbero contenuto i dati essenziali per garantire la correttezza dello svolgimento delle operazioni disponendo una mini tornata elettorale regionale in alcune sezioni dei comuni di Pachino e di Rosolini.
I risvolti di una vicenda giudiziaria ingarbugliata che vede al centro, suo malgrado, Pippo Gennuso
“Posso scegliere di essere una vittima del mondo o un avventuriero alla ricerca del tesoro. È tutta una questione di come vedo la mia vita”.(Paulo Coelho)
Volente o nolente, al centro di queste vicende c’è Pippo Gennuso. Lui è un siciliano verace, un uomo politico controverso. Il suo carattere, come scrive Scipio di Castro- poeta e scrittore italiano, citato da Leonardo Sciascia nei suoi libri – il siciliano è più astuto che prudente, ama le novità, permaloso e litigioso al punto giusto. E per questo il suo modo di fare è preso di mira dagli avversari, oltre che da quei personaggi, sottili critici delle azioni altrui, che ritengono sia facile realizzare tutto quello che loro dicono e farebbero se fossero al posto dei governanti. Come a voler confermare Scipio di Castro: “…i siciliani sono invidiosi dalla nascita”.
Gennuso è un imprenditore, figlio d’arte. Dopo tanto lavoro e impegno, raggiunge la sua notorietà e s’infila in un romanzo avventuroso: da imprenditore a politico di grido; autore dei suoi stessi racconti, di una parte di sé, della propria vita, delle proprie esperienze personali, in cui spesso la realtà supera la fantasia, nelle sue infinite sfaccettature.
Una vita temeraria, ma prudente nella realtà, con i piedi per terra e la testa in aria. Pippo Gennuso viene colpito da un’ondata di fango mediatico all’indomani della sua elezione all’Assemblea Regionale Siciliana.
Come una maledizione è percosso da indagini a ciclo continuo, ma esce sempre a galla: nessuna prova reale di colpevolezza. Diventa bersaglio della malavita organizzata. Inchieste giudiziarie che si aprono e si chiudono di continuo contro il suo vivere.
Tanti errori giudiziari e di accanimento che hanno spinto Gennuso a difendersi dalle mille vicissitudini nelle aule giudiziarie. Da imprenditore e da politico; una figura amata seppur chiacchierata. Decine e decine sono le indagini portate avanti sull’ex deputato all’Ars: dal peculato alla calunnia, dall’abuso d’ufficio alla diffamazione, tanti i guai giudiziari, ma da tutte le pesanti accuse è sempre finora uscito indenne, rispondendo con raffiche di querele a chi s’è permesso di infangare la sua reputazione.
Da presunta vittima di estorsione a sospettato di contatti con un potente clan del Siracusano; il 21 novembre 2013 gli fu sequestrato l’hotel “Europa” a Rosolini, perché ritenuto nella disponibilità proprio di questa famiglia mafiosa, come si legge nell’informativa dei carabinieri. Un esponente del gruppo, invece, intercettato, dice che lui con la società alberghiera in questione non c’entra niente. Non appare logicamente compatibile – come scrivono gli stessi giudici – che Gennuso avesse a che fare con questo clan, dato che nel 1996 fu proprio lui a denunciare le richieste estorsive iniziate nel 1990. L’indagine si concluse il 20 gennaio 2004 col dissequestro dei beni e tante scuse nei suoi confronti, perché estraneo ai fatti.
Il 17 aprile 2018 un altro fulmine a ciel sereno. Si tentò di accendere i riflettori su un presunto voto di scambio e così fu arrestato dai carabinieri del comando provinciale di Siracusa ma dopo neanche un mese, il 7 maggio 2018, il tribunale del riesame annullò il provvedimento. La quinta sezione penale del tribunale di Catania motivò la sentenza: “Non ci fu nessun voto di scambio politico-mafioso fra il deputato e gli altri soggetti indagati”.
Le tante verità di questa vicenda sono apparse alquanto deviate; complice la cattiva informazione. Si è cercato di screditare a tutti i costi chi ha avuto il coraggio di denunciare la mafia, quella vera, a rischio della sua vita e quella della sua famiglia. Nel 2016, assieme ai figli, Gennuso denunciava a Palermo un’estorsione per la quale è stato condannato a 9 anni di reclusione Cosimo Vernengo, boss di Santa Maria di Gesù; uomo d’onore che dopo la morte di Totò Riina appare nello scacchiere mafioso come uno dei tre candidati in grado di serrare le file e rilanciare la Cupola siciliana; i capi mandamento dovevano stabilito chi sarebbe stato l’erede del padrino di Corleone. Tra i candidati Cosimo Vernengo e Stefano Fidanzati; la scelta su Settimino Mineo, 80 anni, con un “curriculum” lungo decenni, tra i 46 fermati nell’operazione dei carabinieri “Cupola2.0.”. Né Matteo Messina Denaro, né giovane leve.
“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Spero solo che la fine della mafia non coincida con la fine de dell’uomo” (Giovanni Falcone)