Confermata la correlazione tra SARS-CoV-2 e sindrome multi-infiammatoria sistemica, la cosiddetta MIS-C che presenta alcune caratteristiche simili alla malattia di Kawasaki. A metterlo in evidenza è un lavoro multicentrico italiano promosso dal Gruppo di Studio di Reumatologia della Società italiana di Pediatria (SIP), presentato oggi al Congresso straordinario digitale della SIP.
Lo studio, che sarà pubblicato su una rivista internazionale di reumatologia, ha coinvolto circa 200 pediatri in tutta Italia con l’obiettivo di raccogliere tutti i casi di malattia di Kawasaki classica e quelli di malattia multi-infiammatoria sistemica registrati nei bambini sul territorio nazionale durante la prima ondata epidemica, ossia dal 1 febbraio al 31 maggio 2020. Dal monitoraggio emerge che sono stati 149 i casi totali registrati sul territorio nazionale, di cui 53 affetti da sindrome multi-infiammatoria sistemica e 96 affetti da malattia di Kawasaki classica.
“Dalle nostre elaborazioni sono emersi tre elementi che ci permettono di dire che c’è una correlazione tra sindrome multi-infiammatoria sistemica e SARS-CoV-2”, afferma Andrea Taddio, consigliere del Gds di Reumatologia della SIP e professore associato di Pediatria all’Università di Trieste, tra gli autori dello studio insieme a Marco Cattalini (Università degli Studi di Brescia) e Angelo Ravelli, direttore della Clinica Pediatrica e Reumatologia dell’Istituto G. Gaslini di Genova e Segretario del Gruppo di Studio di Reumatologia della SIP.
“Innanzitutto – prosegue Taddio – la percentuale di pazienti positiva al virus era nettamente più alta nella popolazione con sindrome multi-infiammatoria (75%) rispetto alla popolazione affetta da malattia di Kawasaki classica (20%). Inoltre, queste forme multi-infiammatorie sistemiche si sono accumulate temporalmente circa un mese dopo il picco dell’epidemia infettiva, a conferma che quello che abbiamo visto è stata una iper risposta infiammatoria a un trigger virale. Infine -sottolinea il reumatologo pediatrico- i pazienti osservati si sono concentrati prevalentemente nel Nord Italia, soprattutto in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, le regioni dove ci sono stati più casi di Covid-19”.
Nello specifico è emerso che la popolazione affetta da sindrome multi-infiammatoria sistemica, rispetto a quella affetta da malattia di Kawasaki classica, presenta cinque tratti caratteristici: “Un’età media più alta (intorno ai 7 anni); una maggior probabilità di aver bisogno della terapia intensiva pediatrica; una maggiore necessità di aver bisogno di un sostegno ventilatorio; una maggior probabilità di manifestare sintomi atipici per la Kawasaki quali quelli gastro-intestinali e polmonari; una maggior probabilità di avere miocardite o insufficienza cardiaca”, spiega ancora Taddio.
Per quanto riguarda gli esami di laboratorio “la sindrome multi-infiammatoria sistemica – dice ancora il reumatologo – si caratterizzava per degli indici di flogosi più elevati (PCR), una linfopenia, una piastrinopenia, una ferritinemia più elevata ed un aumento degli enzimi cardiaci (troponina, BNP)”. Da sottolineare che nella casistica italiana non si sono registrati decessi “ma una piccola percentuale di pazienti aveva esiti cardiologici a distanza, anche se non clinicamente rilevanti. La maggior parte dei pazienti affetti da sindrome multi-infiammatoria è stata trattata con IVIG e steroidi, ma alcuni di questi hanno necessitato di un trattamento con inibitore di IL-1 da subito per la gravità del quadro oppure successivamente per scarsa risposta alla terapia di primo livello”, aggiunge Taddio.
Lo studio verrà riaperto a breve per continuare a raccogliere dati anche in questa seconda ondata: “Abbiamo notizia di casi di sindrome multi-infiammatoria sistemica che si stanno ripresentando in varie parti d’Italia”, precisa Taddio.
Secondo Angelo Ravelli, Segretario del Gds di Reumatologia della SIP “le forme iperinfiammatorie non sono condizioni diverse dalla malattia di Kawasaki, come molti ritengono, ma fanno parte di un unico spettro di patologia che va dalle forme meno gravi a quelle più gravi ed è presumibile che il virus sia stato implicato sia nelle forme classiche di malattia di Kawasaki che in quelle iperinfiammatorie. Ritengo – precisa – che le forme iperinfiammatorie nella loro base siano malattie di Kawasaki deformate e rese più aggressive da un virus che sappiamo essere estremamente invasivo. Quando questo virus con una forte carica virale colpisce soggetti con una particolare predisposizione genetica, in un’età non abitualmente colpita dalla malattia di Kawasaki, può dare delle forme molto più aggressive che, a mio avviso, fanno parte comunque dello stesso spettro clinico”.
Secondo il Segretario del GdS di Reumatologia della SIP sarebbe importante studiare “il confronto del terreno genetico e dei possibili fattori causali tra i bambini che hanno avuto forme più classiche di Kawasaki e quelli che hanno manifestato forme più violente”.
Una prospettiva condivisa anche da Andrea Taddio, che ricorda come “tutti i bambini osservati nel corso dello studio erano apparentemente sani ma è possibile che chi sia capace di sviluppare una risposta infiammatoria tale, sia geneticamente predisposto”. Il GdS di Reumatologia della SIP ha inoltre stilato un documento di suggerimenti che hanno l’obiettivo di definire le peculiari caratteristiche cliniche ed i principi di trattamento del paziente con sindrome multi-infiammatoria Covid-correlata. Il documento vuole essere ausilio al pediatra che si trovi ad affrontare un caso sospetto o confermato di MIS-C. “Perché la nostra impressione è che la tempestività d’intervento sia cruciale nel determinare l’outcome del bambino”, conclude Taddio.