Siracusa. Malgrado la maxi inchiesta sull’inquinamento selvaggio della Procura di Siracusa, i miasmi e la puzza non diminuiscono.
Insistere è già vincere. Lottare è la speranza di centrare l’obiettivo. Nel 2013, Green Italia lancia una class action contro le industrie che inquinano. “Chi ha inquinato e avvelenato deve pagare senza essere tutelato o salvato dal consociativismo e da una politica spesso in lista paga dalla grande industria, come l’Ilva dimostra – dichiarò all’epoca Fabio Granata, esponente di Green Italia – Promuoveremo in tutta Italia una Class action contro le industrie che avvelenano e inquinano e lanceremo una legge di iniziativa popolare sul reato ambientale da inserire finalmente nel codice penale e per un fondo di solidarietà per le vittime dei veleni industriali”.
Si apre, di fatto, una nuova fase carica di speranza per le popolazioni dei comuni viciniori della zona industriale tra le più inquinate d’Italia e per il ripristino della legalità repubblicana. Alla fine Granata è riuscito a portare a termine il suo progetto nel territorio del petrolchimico siracusano iniziando dal capoluogo, dove ha raccolto oltre mille firme da cittadini disperati. Ma si deve registrare che malgrado l’inchiesta della magistratura siracusana ancora in corso, i miasmi si sono moltiplicati.
Partendo dalla premessa che la materia è complessa e la normativadifficile da applicare, occorre dire in maniera chiara che nessuna denuncia e nessuna manifestazione potranno risolvere il problema dei miasmi nell’aria. E non è una dichiarazione di pessimismo, ma la realtà dei fatti.
Si può obiettare che si possono controllare le emissioni, ma in pratica non è così. Un calcolo matematico sulla produttività degli impianti non consente tale possibilità; quindi, sentiremo sempre un disturbo, forte o debole, ma perennemente fino alla chiusura delle raffinerie.
Tanti sono gli esposti che sono stati presentati in Procura, mentre l’Arpa interviene presso il Ministero dell’Ambiente così come verso l’Istituto Superiore di Sanità spinta dalla linea sanitaria per le criticità registrate a fornire nuove linee di indirizzo per la popolazione sottoposta alla continua invasione dei veleni nell’aria. Ma senza un’azione tenace e profonda, è il cane che si morde la coda.
Sull’inquinamento, insiste l’ultimatum dell’Unione Europea: Italia ha violate le norme sulla qualità dell’aria. La commissione concede una proriga per un nuovo piano. Ma l’Italia tira dritto: abbiamo già agito. Altri 8 Paesi rischiano la Corte di Giustizia. Infatti, ci siamo arrivati. Le poche misure prese non garantisco i cittadini e non bastano, bisogna fare di più. E in fretta, sostengono a Bruxelles. Questa è la drammatica situazione in Europa.
Insiste poi la grave questione legata alle bonifiche che non ci saranno, semplicemente perché mancano i fondi mentre la politica continua nella demagogia e nella strumentalizzazione sostenendo gli interessi delle lobby della chimica e della raffinazione, come da sempre. C’è poi la questione di tante società che sono sparite nel nulla lasciando i siti inquinati.
Le aree del petrolchimico siracusano, di Gela e di Milazzo, sono le zone più inquinate della Sicilia. A casa nostra, così come nelle altre zone, tra i responsabili della devastazione del territorio dei comuni di Siracusa, Priolo, Melilli e Augusta, compresi in maniera minore le zone di Villasmundo, Lentini e Carlentini, ci sono le industrie della chimica e della raffinazione. Le bonifiche promesse potevano essere il lavoro per un numero indefinito di addetti e per i prossimi 7/10 anni.
La questione è davvero grave. Quanti metri cubi di amianto e di rifiuti velenosi ci sono sotterrati in giro, nei tetti delle vecchie fabbriche abbandonate? Oppure, fanghi, veleni e polveri letali per l’uomo nelle discariche abusive e autorizzate? Quanti metri cubi di percolato proveniente dalle discariche velenose e della spazzatura ogni anno finisce nella falda acquifera e nelle acque del mare in tutto il territorio siciliano ancora da bonificare? Le risposte, purtroppo, non sono tutte possibili.
Con le bonifiche, nelle aree industriali siciliane di Gela, Milazzo e Priolo,la riduzione dell’inquinamento prodotto e le bonifiche si potrebbero evitare in media ogni anni centinai di morti prematuri, ricoveri ospedalieri per tumori e per altre cause.
Le bonifiche, con benefici per la salute che si fisserebbero dopo circa venti anni dal risanamento e che durerebbero per trent’anni, si avrebbe un vantaggio economico potenziale pari a quattro miliardi di euro per Priolo e sette miliardi di euro per Gela e Milazzo. Ma non c’è nessuna speranza. Le bonifiche non sono mai partite, un cenno a parte lo merita il fallimento della politica a tutti i livelli. Il connubio con le lobby della chimica e della raffinazione è l’unica cosa certa.
Il tradimento di tanti sindaci e dei governi regionali nazionali che si sono succeduti nel tempo e della politica in generale hanno permesso per quasi 70anni che il territorio fosse assassinato per speculare e poi abbandonarlo; questo è il dato certo che conferma la situazione a Gela, Milazzo e Priolo: niente lavoro, niente bonifiche, niente sviluppo, a parte la raffineria verde dell’Eni di Gela che nessuno ancora ha ben capito come stanno davvero le cose, mentre i gelesi, i priolesi, i melillesi, gli augustani e i siracusani, sono stati costretti scappare per non morire di fame.
La verità, dei fatti, ci dice che non è possibile bonificare perché i costi sono proibitivi. Per rimanere a casa nostra, i circa 770 milioni di euro stanziati a parole per bonificare il Sin denominato Priolo, sono appena il 40% della somma necessaria calcolata. Sono ancora poche le aziende che di tasca propria hanno bonificato le aree di pertinenza e solo per un proprio tornaconto, come la realizzazione di nuovi impianti. Ma quello che ancora non è stato quantificato davvero, sono le somme che occorrono per risanare i fondali della rada di Augusta, semplicemente perché non è stato individuato quale sistema di dragaggio è possibile a costi accettabili ragionevoli, con l’aggravante che si tratta di proprietà del Demanio marittimo dello Stato e non di terreno privato. E ancora dell’amianto sparso in lungo e in largo, nelle discariche dei veleni industriali autorizzate o abusivamente realizzate. E questo malgrado ci siano diversi progetti pronti, Regione e Governo nazionale scaricano la responsabilità sui ministeri competenti: Ambiente, Economia e Infrastrutture. Ma i tre ministeri a sua volta non chiariscono, dove trovare le risorse perché quelle preventivate sono insufficienti al compimento delle poche proposte d’intervento in corso e quelli ancora da avviare per le attività della bonifica nel totale e il risanamento dei siti inquinati.
Si dice che la speranza è l’ultima a morire; allora niente paura perché i siti industriali dismessi e abbandonati in Italia, sono davvero tanti, troppi. Infatti, sono cinquantasette i buchi neri dell’inquinamento selvaggio nell’Italia dei connubi e della corruzione, che le industrie dopo aver sfruttato fino all’ultimo momento il favorevole vento della speculazione, hanno abbandonato in silenzio. Quello delle bonifiche ambientali è un problema abnorme, specie per i costi proibitivi ispirate dalle norme europee molto elevate, e così diventa impossibile risanare.
Concetto Alota