I miasmi e la puzza di gas di origine industriale che si si sono registrati nei giorni scorsi nei comuni che insistono nel raggio del petrolchimico siracusano, ha riacceso più forte di prima i riflettori sul grave fenomeno inquinamento selvaggio che colpisce fin dentro le stanze da letto i residenti costretti a chiudere le finestre di notte per non soffocare; bambini, malati e anziani compresi, tutto nell’indifferenza generale delle istituzioni a tutti i livelli.
Partendo dalla premessa che la materia è complessa e la normativadifficile da applicare, occorre dire in maniera chiara che nessuna denuncia e nessuna manifestazione potranno risolvere il problema dei miasmi nell’aria. E non è una dichiarazione di pessimismo, ma la realtà dei fatti.
Volendo “fare le pulci”, possiamo pensare all’esempio pratico: logica vuole che se passi davanti ad una profumeria senti odore di profumi, davanti ad una pescheria, ovviamente, puzza di pesce. Orbene. Nel petrolchimico ci sono fabbriche di “veleni” e non di profumi. Punto.
Si può obiettare che si possono controllare le emissioni, ma in pratica non è così. Un calcolo matematico sulla produttività degli impianti non consente tale possibilità; quindi, sentiremo sempre un disturbo, forte o debole, ma perennemente fino alla chiusura delle raffinerie.
Il comune di Augusta e Siracusa hanno presentato due rispettivi esposto in Procura, mentre l’Arpa interviene presso il Ministero dell’Ambiente così come verso l’Istituto Superiore di Sanità spinta dalla linea sanitaria per le criticità registrate a fornire nuove linee di indirizzo per la popolazione sottoposta alla continua invasione dei veleni nell’aria. Ma è il cane che si morde la coda.
Come stanno le cose in Europa: fonte: comunicato Greenpeace Italia:
“La Commissione europea ha adottato il 6 febbraio 2017 lo strumento per il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali – una novità volta a migliorare l’attuazione sia della politica ambientale dell’Ue che delle norme stabilite di comune accordo. Secondo quanto sottolineato, si inaugura così una nuova procedura, in base alla quale la Commissione, insieme agli Stati membri, affronterà le cause alla radice delle carenze di attuazione delle politiche e troverà soluzioni, prima che i problemi diventino urgenti.
“In merito, il Commissario Ue per l’Ambiente, gli affari marittimi e la pesca, Karmenu Vella, ha affermato: “Un’applicazione frammentaria e non uniforme delle norme ambientali non rende servizio a nessuno. Il miglioramento delle modalità di applicazione del diritto ambientale va a vantaggio dei cittadini, delle amministrazioni pubbliche e dell’economia. È qui che entra in gioco il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali. La Commissione europea si impegna ad aiutare gli Stati membri a garantire ai loro cittadini una qualità eccellente dell’aria, dell’acqua e della gestione dei rifiuti. Il riesame dell’attuazione delle politiche ambientali fornisce le informazioni, gli strumenti e il calendario per raggiungere questo obiettivo.
“La piena attuazione della legislazione ambientale dell’Ue potrebbe far risparmiare ogni anno all’economia dell’Ue 50 miliardi di euro in costi sanitari e costi diretti per l’ambiente. Secondo l’Eurobarometro, tre cittadini su quattro ritengono che il diritto dell’Unione sia necessario alla protezione dell’ambiente nel loro paese, e quattro su cinque concordano sul fatto che le istituzioni europee dovrebbero essere in grado di verificare che le norme siano applicate correttamente.
“Il pacchetto comprende 28 relazioni per Paese che mappano – a livello nazionale – punti di forza, debolezze e opportunità, oltreché una comunicazione che riassume le conclusioni programmatiche delle relazioni per Paese e prende in esame le tendenze comuni riguardanti la qualità dell’aria, la gestione dei rifiuti e l’economia circolare, la qualità dell’acqua e la salvaguardia della natura e della biodiversità e raccomandazioni, destinate a tutti gli Stati membri, su come ottenere miglioramenti in materia di qualità ambientale.
“Illustra poi le azioni condotte a livello mondiale per contenere l’inquinamento atmosferico, nell’ambito della lotta ai cambiamenti climatici. In particolare, fa riferimento all’Accordo di Parigi sul clima e all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
“Infine, evidenzia le principali azioni condotte a livello nazionale al fine di contrastare l’inquinamento atmosferico. Tali azioni costituiscono strumenti di indirizzo anche rispetto all’attività delle Regioni, alle quali la normativa italiana di recepimento delle disposizioni Ue conferisce competenze sulla materia”.
Sull’inquinamento, insiste l’ultimatum dell’Unione Europea: Italia ha violate le norme sulla qualità dell’aria. La commissione concede 10 giorni per un nuovo piano. Ma l’Italia tira dritto: abbiamo già agito. Altri 8 Paesi rischiano la Corte di Giustizia. Infatti, ci siamo arrivati. Le poche misure prese non garantisco i cittadini e non bastano, bisogna fare di più. E in fretta, sostengono a Bruxelles. Questa è la drammatica situazione in Europa.
Per rimanere a casa nostra, nel mese di settembre 2017 con un comunicato diffuso la Procura della Repubblica di Siracusa chiude il primo round dell’inchiesta sull’inquinamento nel polo petrolchimico siracusano, spiegando i vari passaggi della complessa indagine e le tappe obbligate da seguire. Dopo avere ottenuto in data 27 giugno 2017 dal Gip presso il Tribunale di Siracusa, Michele Consiglio, su conforme richiesta del pool di magistrati coordinati dal Procuratore Capo Francesco Paolo Giordano, sostituti procuratori Brianese, Di Mauro e Lucignani, il sequestro preventivo degli stabilimenti Raffineria Esso di Augusta, Isab Nord e Isab Sud di Priolo, con la contestuale autorizzazione alle restituzione degli stessi subordinatamente all’adempimento di alcune prescrizioni, indicate, con apposito provvedimento per ciascuna delle aziende coinvolte, il procedimento esecutivo del sequestro è pervenuto ad un’ulteriore tappa, con la fissazione dei termini per la presentazione del cronoprogramma e delle garanzie richieste. Infatti, entrambe le società coinvolte hanno depositato una nota di accettazione delle prescrizioni e la società Esso, che aveva proposto riesame, ha scelto di rinunciare allo stesso. Le società proprietarie degli stabilimenti in sequestro, infatti, avranno 90 giorni di tempo (scadenza per il 24 ottobre) per la presentazione dei progetti e dodici mesi per la realizzazione delle opere richieste, lavori strutturali che dovranno portare ad una significativa riduzione delle emissioni odorigene. Alle raffinerie sino ad ora coinvolte è stato infatti prescritto, quale condizione per la prosecuzione dell’esercizio, di provvedere alla copertura delle vasche di trattamento delle acque reflue industriali e a monitoraggio e miglioramento delle coperture dei serbatoi, nonché al completamento della realizzazione degli impianti di recupero vapori ai pontili di carico e scarico. Sono state prescritti, altresì, ulteriori adempimenti relativi a torce, camini e monitoraggio delle emissioni.
Tali prescrizioni sono le seguenti:
1) Riduzione delle emissioni provenienti dai rispettivi impianti:
1.a) Copertura delle vasche costituenti l’impianto di trattamento acque per entrambe le Raffinerie; i Gestori dovranno proporre un progetto completo di cronoprogramma attuativo per la realizzazione, che non dovrà comunque eccedere una durata massima di 12 mesi, con garanzia fideiussoria pari al costo delle opere da attuare ed alla loro messa in esercizio che sarà documentata dal Gestore entro 90 giorni;
1.b) Monitoraggio del tetto di tutti i serbatoi contenenti prodotti volatili e/o mantenuti in condizioni di temperatura tali da generare emissioni diffuse (quali ad es. grezzo, benzine, virgin naphta, bitume ecc.) per la verifica della presenza e della funzionalità di presidi atti a limitare l’emissione in atmosfera di vapori provenienti dagli stoccaggi (quali ad es. calze di contenimento sulle teste di supporti dei tetti galleggianti, guaine di contenimento sui tubi guida e sui tubi di calma dei tetti galleggianti ecc.); tale monitoraggio, con redazione di una specifica relazione che includa documentazione fotografica di ogni serbatoio controllato, dovrà essere completato entro 60 giorni; la relazione tecnica dovrà contenere anche un cronoprogramma attuativo per la realizzazione di tali sistemi, ove non presenti, ovvero per il loro ripristino, laddove non funzionanti, che non dovrà comunque eccedere una durata massima di 12 mesi, con garanzia fideiussoria pari al costo delle opere da attuare ed alla loro messa in esercizio che sarà documentata dal Gestore entro 90 giorni.
1.c) Realizzazione e messa in esercizio di impianti di recupero vapori ai pontili di carico e scarico di Isab e di Esso: i gestori dovranno proporre entro 90 giorni un progetto completo di cronoprogramma attuativo per la realizzazione, qualora non ancora completata, e per la messa in esercizio, qualora non ancora effettiva, dei predetti impianti VRU-N, che non dovrà comunque avere una durata superiore ai 12 mesi, con garanzia fideiussoria pari al costo delle opere da attuare ed alla loro messa in esercizio che sarà documentata dai Gestori trasmettendo la relativa documentazione entro 90 giorni. Riguardo al monitoraggio del funzionamento degli impianti di recupero vapori i gestori, oltre ad ottemperare a quanto previsto in AIA, dovranno provvedere alla misura e registrazione della portata dei vapori inviata ad ogni impianto di recupero registrando anche le informazioni relative alla corrispondente nave collegata, al prodotto movimentato e alla durata dell’operazione.
2) Adeguamento dei sistemi di monitoraggio delle emissioni comprese nella bolla
2.a) Adozione di procedure periodiche di verifica dei sistemi monitoraggio in continuo confrontando i valori derivanti dalle misura in discontinuo con le contemporanee misure in continuo in modo tale da assicurare il rispetto di quanto indicato dalla norma UNI EN 14181; i Gestori dovranno proporre un cronogramma attuativo per la realizzazione, che non dovrà comunque eccedere una durata massima di 12 mesi, con garanzia fideiussoria pari al costo delle opere da attuare ed alla loro messa in esercizio che dovrà essere provata dai Gestori entro 90 giorni;
2.b) messa a disposizione dei dati registrati dei sistemi di monitoraggio in continuo per via telematica all’ARPA DAP di Siracusa;
2.c) adozione di modalità di autocontrollo (sia per i monitoraggi discontinui che per i sistemi di monitoraggio in continuo) tali da rendere i medesimi idonei per la verifica di conformità ai valori limite di emissione per i punti di emissioni rientranti nel campo di applicazione delle norme; dovranno pertanto rendere disponibili i dati emissivi nella forma e con la base temporale idonea alla verifica del rispetto di tali valori limite;
2.d) gli eventuali superamenti dovranno essere affrontati in analogia a quanto definito nell’AIA vigente per gli altri superamenti dei valori.
Pertanto, i Gestori dovranno proporre un cronogramma attuativo per la realizzazione di quanto sopra, che non dovrà comunque eccedere:
– per i sistemi di monitoraggio in continuo esistenti, i tre mesi,
– per i nuovi sistemi di monitoraggio in continuo, i 12 mesi,
– per le campagne di monitoraggio periodico, i 30 giorni, con garanzia fideiussoria pari al costo delle opere da attuare ed alla loro messa in esercizio che dovrà essere documentata dal Gestore entro i 90 giorni. Quanto all’ostensione dei dati degli autocontrolli realizzati, essi dovranno essere resi disponibili in continuo per via telematica all’ARPA DAP di Siracusa. Tutto ciò sarà sorvegliato dai consulenti tecnici della Procura, dott. Mauro Sanna, ing. Nazzareno Santilli e dott. Rino Felici. In estrema sintesi, se i Gestori rispetteranno il programma, nell’arco di 12 mesi si assisterà ad una drastica riduzione delle emissioni dannose.
Ad agosto l’Isab/Lukoil ha comunicato per prima alla Procura di Siracusa di accettare le prescrizioni imposte per la riduzione di emissioni, e dichiara in una nota di “accettare il programma di interventi secondo le scadenza previste nel decreto di sequestro, preservando la piena operatività della raffineria”. A settembre anche la Esso accetta le prescrizioni della Procura.
C’è da registrare in questi giorni che in merito all’inchiesta negli ambienti giudiziari siracusani si parla già da qualche mese di alcune negligenze registrate nell’applicazione degli impegni presi dalle industrie incriminate, e per la verità si parlerebbe di una sola delle due, senza specificare chi; di criticità si parla anche per l’Ias; ma in Procura con il trambusto creato dal trasferimento del procuratore capo, alle domande rispondono con un laconico: “Stiamo lavorando”.
Insiste poi la grave questione legata alle bonifiche che non ci saranno, semplicemente perché mancano i fondi mentre la politica continua nella demagogia e nella strumentalizzazione sostenendo gli interessi delle lobby della chimica e della raffinazione, come da sempre. C’è poi la questione di tante società che sono sparite nel nulla lasciando i siti inquinati.
Le aree del petrolchimico siracusano, di Gela e di Milazzo, sono le zone più inquinate della Sicilia. A casa nostra, così come nelle altre zone, tra i responsabili della devastazione del territorio dei comuni di Siracusa, Priolo, Melilli e Augusta, compresi in maniera minore le zone di Villasmundo, Lentini e Carlentini, ci sono le industrie della chimica e della raffinazione. Le bonifiche promesse potevano essere il lavoro per un numero indefinito di addetti e per i prossimi 7/10 anni.
La questione è davvero grave. Quanti metri cubi di amianto e di rifiuti velenosi ci sono sotterrati in giro, nei tetti delle vecchie fabbriche abbandonate? Oppure, fanghi, veleni e polveri letali per l’uomo nelle discariche abusive e autorizzate? Quanti metri cubi di percolato proveniente dalle discariche velenose e della spazzatura ogni anno finisce nella falda acquifera e nelle acque del mare in tutto il territorio siciliano ancora da bonificare? Le risposte, purtroppo, non sono tutte possibili.
Con le bonifiche, nelle aree industriali siciliane di Gela, Milazzo e Priolo,la riduzione dell’inquinamento prodotto e le bonifiche si potrebbero evitare in media ogni anni centinai di morti prematuri, ricoveri ospedalieri per tumori e per altre cause.
Le bonifiche, con benefici per la salute che si fisserebbero dopo circa venti anni dal risanamento e che durerebbero per trent’anni, si avrebbe un vantaggio economico potenziale pari a quattro miliardi di euro per Priolo e sette miliardi di euro per Gela e Milazzo. Ma non c’è nessuna speranza. Le bonifiche non sono mai partite, un cenno a parte lo merita il fallimento della politica a tutti i livelli. Il connubio con le lobby della chimica e della raffinazione è l’unica cosa certa.
Il tradimento di tanti sindaci e dei governi regionali nazionali che si sono succeduti nel tempo e della politica in generale hanno permesso per quasi 70anni che il territorio fosse assassinato per speculare e poi abbandonarlo; questo è il dato certo che conferma la situazione a Gela, Milazzo e Priolo: niente lavoro, niente bonifiche, niente sviluppo, a parte la raffineria verde dell’Eni di Gela che nessuno ancora ha ben capito come stanno davvero le cose, mentre i gelesi, i priolesi, i melillesi, gli augustani e i siracusani, sono stati costretti scappare per non morire di fame.
La verità, dei fatti, ci dice che non è possibile bonificare perché i costi sono proibitivi. Per rimanere a casa nostra, i circa 770 milioni di euro stanziati a parole per bonificare il Sin denominato Priolo, sono appena il 40% della somma necessaria calcolata. Sono ancora poche le aziende che di tasca propria hanno bonificato le aree di pertinenza e solo per un proprio tornaconto, come la realizzazione di nuovi impianti. Ma quello che ancora non è stato quantificato davvero, sono le somme che occorrono per risanare i fondali della rada di Augusta, semplicemente perché non è stato individuato quale sistema di dragaggio è possibile a costi accettabili ragionevoli, con l’aggravante che si tratta di proprietà del Demanio marittimo dello Stato e non di terreno privato. E ancora dell’amianto sparso in lungo e in largo, nelle discariche dei veleni industriali autorizzate o abusivamente realizzate. E questo malgrado ci siano diversi progetti pronti, Regione e Governo nazionale scaricano la responsabilità sui ministeri competenti: Ambiente, Economia e Infrastrutture. Ma i tre ministeri a sua volta non chiariscono, dove trovare le risorse perché quelle preventivate sono insufficienti al compimento delle poche proposte d’intervento in corso e quelli ancora da avviare per le attività della bonifica nel totale e il risanamento dei siti inquinati.
Si dice che la speranza è l’ultima a morire; allora niente paura perché i siti industriali dismessi e abbandonati in Italia, sono davvero tanti, troppi. Infatti, sono cinquantasette i buchi neri dell’inquinamento selvaggio nell’Italia dei connubi e della corruzione, che le industrie dopo aver sfruttato fino all’ultimo momento il favorevole vento della speculazione, hanno abbandonato in silenzio. Quello delle bonifiche ambientali è un problema abnorme, specie per i costi proibitivi ispirate dalle norme europee molto elevate, e così diventa impossibile risanare.
Concetto Alota