L’anniversario della morte di Mattarella, una ferita al mondo degli onesti che sanguina ancora

Piersanti Mattarella è caduto 41 anni fa perché era un paladino della lotta contro la mafia ed il malaffare, che imperava in Sicilia in quell’epoca. Egli era stato profondo innovatore della politica siciliana, operando provvedimenti coraggiosi in economica, in politica e contro le mafie.

Il 6 gennaio 1980, il presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, fratello maggiore del presidente della Repubblica, Sergio, veniva ucciso durante un efferato agguato, tesogli in via Libertà, a Palermo, proprio sotto casa sua. La sua vicenda, la figura umana e politica fanno parte della storia di Sicilia. E’ eclatante, infatti, la storia dell’uomo che intendeva recidere nettamente i rapporti tra mafia ed amministrazione in Sicilia. Il fattaccio avvenne dopo che era stato effettuato l’omicidio di Peppino Impastato, per ordine di Tano Badalamenti, esattamente nel 1978. Impastato era un noto conduttore radiofonico, che era candidato a sindaco di Cinisi nelle file della Democrazia Proletaria. Mattarella aveva pronunciato un durissimo discorso contro Cosa nostra in quella città, in occasione della campagna elettorale comunale, lasciando attoniti gli stessi uomini, che sostenevano Impastato. A Villa Igiea, nel febbraio del 1979, il suo atteggiamento alla Conferenza regionale dell’agricoltura aveva costituito una decisa scelta di campo. Il deputato Pio La Torre era presente come responsabile nazionale dell’ufficio agrario del Partito Comunista Italiano ed attaccò l’Assessorato dell’agricoltura, indicandolo come centro della corruzione regionale e lo stesso assessore da lui venne definito come individuo colluso con la delinquenza regionale. Il presidente della Regione non difese il proprio assessore, Giuseppe Aleppo, ma, riconobbe la necessità di correttezza e di legalità nella gestione dei contributi agricoli regionali. Si percepiva che, quel giorno, era stato aperto uno squarcio nella politica locale, il quale avrebbe assunto toni drammatici. Si erano esposti alle forti reazioni della mafia un senatore comunista ed il presidente democristiano della Regione. Piersanti Mattarella fu ucciso in quanto era un democristiano onesto e coraggioso.

Piersanti era figlio di Bernardo Mattarella, che era stato tra i fondatori della Dc. Si era trasferito a Roma con la famiglia quando il padre era diventato ministro. Aveva studiato al San Leone Magno ed aveva militato in Azione cattolica, mostrandosi fervente sostenitore della dottrina sociale della Chiesa, che si andava affermando. Si era laureato a pieni voti in Giurisprudenza alla Sapienza con una tesi in Economia Politica, sui problemi dell’integrazione economica europea. Piersanti Mattarella era ritornato in Sicilia, nel 1958, per sposarsi. C’era una spaccatura in quegli anni nella Dc in Sicilia, si affermavano Lima e Ciancimino. Un ammasso di cemento aveva raso al suolo le ville liberty di Palermo. Piersanti Mattarella era entrato nel partito tra il 1962 e il 1963 e, nel ’63, veniva eletto in consiglio comunale, dove predominavano Lima e Ciancimino, tanto che la sua idea di Dc e di amministrazione non trovava affermazione. Nel 1967, arrivava al Consiglio Regionale, contro ogni pronostico. Difendeva gli ideali del padre, ma, in politica utilizzava uno stile tutto personale: discuteva di trasparenza, di riduzione di incarichi, in cui attecchivano i clientelismi, proponeva la rotazione nei centri di potere. Come assessore senza portafoglio al Bilancio, sosteneva la programmazione delle priorità nelle spese fino all’approvazione del piano per gli interventi regionali con i voti del Pci e parlava di Regione “con le carte in regola”. Mise in dubbio pubblicamente l’utilità degli enti regionali e la loro economicità. Piersanti Mattarella ottenne la fiducia come Presidente della Regione Sicilia, eletto con una maggioranza assai larga, che includeva il Pci. Da presidente delle Regione, parlava male di Cosa nostra e si mostrava decisionista: in poche settimane, fece approvare riforme del governo regionale in direzione della trasparenza. Ma sugli appalti e sull’urbanistica, si sollevava lo scontro: la giunta Mattarella, con la legge urbanistica n° 71 del 1978, schiacciava gli spazi della speculazione edilizia nelle aree del “verde agricolo” e con questa gli interessi di mafiosi e di certa politica che, su quegli interessi, aveva costruito consensi. Per il suo omicidio, nel 1995, vennero condannati all’ergastolo i boss: Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò e Nené Geraci. Il processo aveva concluso un’indagine ricca di depistaggi, di ritrattazioni, di collaboratori di giustizia e di testimoni, che era cominciata da Giovanni Falcone. Il dubbio permane, comunque, che il marcio non sia mai veramente emerso.

Pietro Grasso ha scritto che Piersanti Mattarella “stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un’autentica rivoluzione. La sua politica di radicale moralizzazione della vita pubblica, secondo lo slogan che la Sicilia doveva mostrarsi ‘con le carte in regola’, aveva turbato il sistema degli appalti pubblici con gesti clamorosi, mai attuati nell’isola”.

Era, quindi, il giorno dell’Epifania del 1980 quando, davanti al civico 147, una raffica di pallottole colpiva, dinanzi alla moglie ed ai figli, Piersanti Mattarella, 44 anni, presidente della Regione Sicilia, dimissionario a seguito di una crisi del Governo regionale che, in quel momento, si trovava senza scorta: non giungerà mai vivo in ospedale. Quel sangue versato è l’esempio di tutte quelle vittime cadute nell’esercizio del loro servizio allo Stato.

Nel 6 gennaio 1980, il Giornale di Sicilia usciva proprio con un’intervista a Piersanti Mattarella. Le risposte di quell’intervista risuonano ora quasi come un testamento. Si fa riferimento alla mafia, il maxi processo doveva ancora attuarsi. Piersanti Matterella ebbe anche ad affermare: “Il problema esiste perché nella società, a diversi livelli, nella classe dirigente e non solo politica, ma, pure, economica e finanziaria, si affermano comportamenti individuali e collettivi che favoriscono la mafia. Bisogna intervenire per eliminare quanto a livello pubblico, attraverso intermediazioni, e parassitismi, ha fatto e fa proliferare la mafia”. Mai parole furono più sapienti ed indovinate, il degrado politico e la corruzione la fecero da padrona negli anni che seguirono.

Maria Luisa Vanacore

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