L’avv. Amara al Gip: “Non sono un corruttore”

Affiderà a una memoria le proprie deduzioni l’avv. Piero Amara, coinvolto nelle inchieste delle procure di Roma e Messina, nell’ambito dei cosiddetti dossier e depistaggi. Assistito dal prof. Angelo Mangione, Amara ieri si è sottoposto a interrogatorio di garanzia davanti al gip, rigettando ogni addebito e preannunciando di volere depositare una memoria in cui darà la propria versione dei fatti confutando punto per punto le accuse mosse dagli inquirenti. Ha sostanzialmente detto di non avere mai dato denaro o utilità per l’esercizio distorto di funzioni da parte di magistrati. Ha sostenuto, quindi, la tesi che non sia un corruttore e ha espresso la massima fiducia nel lavoro dei magistrati.

All’avv. Amara viene prospettato dagli inquirenti un ruolo principale nelle due inchieste giudiziarie. Nell’ordinanza del gip di Messina sono 10 i capi d’imputazione a suo carico: oltre a quello di associazione per delinquere, sono contestati i reati di corruzione, falsità ideologica, simulazione di reato. E’ ritenuto tra i promotori dell’associazione che era “finalizzata all’affermazione – con mezzi illeciti – nei confronti di magistrati e funzionari pubblici non compiacenti degli interessi propri e di alcuni clienti da loro considerati di particolare rilievo”.

Il gip di Roma, Daniela Ceramico D’Auria, invece, fa riferimento al «“mondo Amara”, operante tra la Sicilia e la Capitale». Riesce a coinvolgere anche l’ex presidente della IV sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio, indagato per corruzione in atti giudiziari. I magistrati hanno individuato almeno 18 atti – fra sentenze, ordinanze e decreti – “aggiustati” in modo da produrre «esiti favorevoli», con un valore stimato in 400 milioni, per le società legate a clienti di Amara e Calafiore. Sul fronte siracusano, invece, la vicenda più rilevante è quella della realizzazione del centro commerciale ad Epipoli, per la quale il Cga, dopo avere affidato la stima dei danni a favore della società costruttrice al consulente tecnico Salvatore Maria Pace – anch’egli destinatario della misura cautelare degli arresti domiciliari – aveva in prima istanza preso in esame un maxi risarcimento pari a 24 milioni di euro a carico del Comune di Siracusa per il mancato rilascio della concessione edilizia.

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