Le mancate bonifiche, le ZES, la decrescita economica del territorio e il fallimento della politica

Un Decreto Legge, detto “Decreto Sud” ha introdotto le Zes. Provvedimento del governo Gentiloni, emanato nel 2017 e diretto allo sviluppo del Mezzogiorno. Le Zone Economiche Speciale finalizzate ad attrarre nuovi investimenti e industrie; ma potrebbero alla fine non bastare alla necessaria ripresa economica del territorio siracusano, tanto per rimanere a casa nostra. Lo scopo è di attrarre nuovi investimenti che potrebbe, di fatto, non realizzarsi, poiché lo sviluppo integrato, come nel caso, necessità sempre di un lavoro collegato alla realtà locale, anche alla presenza di aiuti fiscali e facilitazioni burocratiche, che dovrebbero consentire uno sviluppo per le imprese già insediate o di nuove, attraendo principalmente investimenti dall’estero. Un porto commerciale, di fatto, menomato dall’impossibilità di ulteriori eventuali necessari allargamenti a terra, per lo sviluppo capace di realizzare le strutture necessari ai nuovi possibili investitori, mentre il resto del territorio rimane bloccato dalle mancate bonifiche.

Le Zone Economiche Speciali sono alcune aree meridionali, collegate ad un porto, e disposte ad offrire agevolazioni fiscali, semplificazioni amministrative e deroghe normative ad imprese già insediate o che s’insedieranno, nella speranza di attrarre soprattutto investimenti stranieri.

Le Zes insistono nei paesi extraeuropei, come Cina ed Emirati Arabi, zone emblema di sfruttamento di manodopera, inquinamento ambientale e distruzione della parità sociale, ma anche in Europa, dove già sono una settantina.

La principale agevolazione del Decreto Sud per le Zes consiste in un credito d’imposta, proporzionale al costo dei beni acquistati entro il 31 dicembre 2020, fino a un massimo di 50 milioni di euro a progetto d’investimento. Per ottenere i benefici, però, le imprese dovranno mantenere le attività nella Zes per almeno cinque anni successivi al completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti, e non devono essere in liquidazione o in fase di scioglimento.

La realtà parla chiaramente di una decrescita economica e sociale del territorio siracusano; è una questione molto più complessa di come si vuole far credere. Una profonda realtà che non ha niente a che vedere con i numeri dei disoccupati, dei precari, ma è il risultato agghiacciante del fallimento della politica in generale, a tutti i livelli. La vera questione da sempre è la nostra economia monotematica, industriale, fallita alla fine miseramente lasciandosi dietro morte, dolore e tanta fame. 70anni in uno scenario tra connubi e ammiccamenti in un ventaglio formato da personaggi che hanno preferito pochi posti di lavoro in cambio di una serie di favori che hanno avvelenato la zona di rifiuti, appestato l’aria, il mare, la terra e la falda acquifera a più non posso, senza aver ottenuto nello stesso tempo un ritorno in termini di sviluppo e di nuovi posti di lavoro e investimenti. Non c’è stato, nella logica condizione, lo sviluppo economico parallelo capace di sfruttare settori vitali per far nascere sul territorio nuovi insediamenti per uno sviluppo sostenibile in termini ambientali, come il turismo, magari nella zona più a sud del territorio siracusano. Il rischio per le Zes, che il tutto si possa risolvere in una nuova serie d’inutili contributi a pioggia e nulla più, così com’è successo nel passato.

Quello che è venuto fuori è modello di sviluppo confuso, per certi versi superato e impiegato ormai in quasi tutto il mondo, danneggiando anche culture che ne erano lontanissime dal modello industriale, rovinando oltremodo anche quelle zone incontaminate. Un processo che ha portato alla disfatta l’attuale conduzione con la pseudo rivoluzione industriale che ha razionalizzato le forme del vecchio e superato capitalismo a compartecipazione, in un modello di sviluppo che deve essere sbaraccato dalle radici del compromesso, sebbene esista, in modo confuso, la politicuccia del governo regionale ormai sorpassata.

Un declino che negli ultimi vent’anni ha innescato un processo di cattiva politica verso l’ammodernamento degli impianti delle industrie del petrolchimico siracusano. Si è preferito operare quella manutenzione obbligata dalle norme di legge che regolano la materia e nulla di più. Una lenta modernizzazione che non riesce a fa decollare la produzione verso obiettivi capaci di far ripartire l’economia, in una sorta di chiusura in difesa senza il necessario attacco. La diagnosi non ha trovato i possibili rimedi, senza ottenere adeguati soluzioni al processo d’industrializzazione, con la rottura di una formazione antica quanto inutile. È utile pertanto cominciare dall’inizio, in un ambito da cui traspaiono con particolare forza gli effetti perniciosi di un circolo improduttivo. Occorrono investimenti pubblici; i governi che si sono succeduti nel tempo non hanno rispettato gli accordi presi sulle bonifiche che possono ridare ossigeno alla domanda crescente di posti di lavoro per i giovani e nello stesso tempo liberare la popolazione dai mille veleni insistenti, oltre ad una risposta alla scarsità della domanda da parte delle aziende, con una rete di piccole imprese che potrebbe offrire valide opportunità.

L’attuale classe politica a tutti i livelli non è in grado di risolvere i gravi problemi che attanagliano i settori vitali dell’economia della Sicilia, inconsapevole di come stanno veramente le cose. Incapace di sviluppare riforme strutturali che si concentrino su una serie di politiche volte a garantire un funzionamento più efficace dei meccanismi per una ripresa economica e sociale dell’Isola, che vive nel sottosviluppo di un Sud sempre più povero. Una questione storica, atavica legata alle classi dirigenti e all’assetto socio-istituzionale, ai livelli di capitale umano e sociale, che contribuisce a ridurre le capacità di crescita del territorio. La bandiera del fallimento sventolerà ancora per tanti lunghi anni in questo territorio sfruttato e abbandonato.

Concetto Alota

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