Pupari di padre in figlio.
Nella famiglia Canino l’arte dei pupi e del “cuntu” oggi viene declinata al femminile. La tradizione delle marionette che l’Unesco ha dichiarato nel 2001 patrimonio dell’umanità è affidata ora alle mani e alle cure di Maria Pia e Laura Canino, figlie di Nino e ultime eredi di una storia familiare cominciata nell’Ottocento. La ricostruisce, con uno sguardo largo sul teatro di figura nel mondo, Francesco Viola nel libro “L’opera dei pupi della famiglia Canino” (Patron editore, 160 pagine, 17 euro). E’ una storia che, ripercorsa a ritroso, arriva a Liberto Canino. Nel 1899 l’etno-antropologo Giuseppe Pitrè ne parlava come di un innovatore rivoluzionario, “un Robespierre del teatro dei pupi a Palermo”. “Tante – scrive nella prefazione Angelo Sicilia – le generazioni di pupari della famiglia Canino, protagoniste di una forma d’arte in cui s’incontrano artigianato plurimo (legno, stoffa, metalli e pittura), cultura orale e tradizione teatrale”. Fu Libero Canino il capostipite di una vera e propria dinastia “puparesca”, sostiene Sicilia, “che, per passato, durata e importanza, non ha eguali”. Questa storia si intreccia con le tradizioni innovative del “turismo esperenziale” che Maria Pia e Laura hanno recuperato dal patrimonio di famiglia. Il libro offre anche uno sguardo poetico che riprende le parole “‘mpupate” usate e messe in scena nel tempo dai Canino. Il cavaliere Nino considerava i pupi come sue creature: li ha amati, li ha curati, li ha affidati alle figlie dopo averli portati in giro per l’Europa. L’interesse che riuscì a suscitare lo spinse a trasferirsi per un anno a Parigi dove aveva impiantato un teatrino nel quartiere latino. La sua collezione è ora custodita nella Real Cantina Borbonica di Partinico.