L’informazione rimane schiava nella morsa tra la crisi del giornalismo e l’illegalità diffusa, nel cosiddetto connubio sotterraneo. Troppi falsi giornalisti scrivono notizie pilotate distorte, così come la prima cosa che gli passa per la testa facendola credere cronaca vera, bufale comprese, o attacchi indiretti contro tutto e tutti, senza mai fare i nomi e i cognomi ma dilettandosi a schernire chicchessia in maniera qualunquistica in un plurale maiestatis. Scrivere male di tutta la stampa, dei giornalisti in genere, è qualunquismo puro e non serve a niente; fare i nomi e i cognomi, altrimenti è invidia e odio che sono da sempre le due facce della stessa medaglia. La buona notizia: chi è incappato anche in una sola segnalazione abusiva dell’attività giornalistica a qualsiasi titolo non potrà mai essere iscritto all’Ordine dei Giornalisti, mentre sono allo studio da parte dei governi europei norme di controllo contro il continuo e offensivo metodo di calunnia e diffamazione sul Web in generale di personaggi ambigui che si spacciano, di fatto, per cronisti.
L’intreccio perverso tra editori avventurieri che controllano l’informazione e la politica locale ha prodotto nuovi episodi raccapriccianti destinati a scavare una fenditura sempre più profonda tra l’ideale di un pluralismo informativo, alimentato da “editori affaristi” e da un’informazione a parole libera mentre l’amara realtà è fatta di troppe testate giornalistiche sempre più dominate da altri interessi, ben distanti dal sacrosanto diritto dei cittadini di essere informati. Si susseguono poi gli attacchi da parte di tanti prosseneti di uomini politici con critiche spesso qualunquiste verso questo lavoro. La mancanza di editori genuini, imprenditoriali veri che si dedichino soltanto all’editoria, che sostengano il loro business esclusivamente attraverso innovative idee editoriali e che siano lontane dalle scelte della politica e dalle cordate di potere economico-finanziario.
Nella retorica giornalistica locale insiste da qualche tempo, insieme al rivoluzionario fenomeno universale dei Social Network, la perdita dell’espressione del linguaggio e della funzione che il giornalismo dovrebbe avere quale garante della mansione di mediare tra la difficoltà del reale e l’opinione pubblica. Spesso però, invece di essere uno strumento di ragguaglio, diventa sempre di più utensile per amministrare interessi di parte specie prima, durante e dopo un evento elettorale.
Ci sono due tipi di giornalismo: quello che tratta argomenti imparziali, scrivendo fatti e circostanze, senza conflitto, che può piacere o non piacere, e in qualche caso fanno arricciare il naso, ma non feriscono e non scatenano sentimenti di rappresaglia. C’è poi il giornalismo delle inchieste, che hanno l’obiettivo di far emergere una situazione critica, di denunciare fatti e misfatti, nell’interesse generale e non di parte. Anche qui ovviamente c’è chi fa questo mestiere bene e chi lo fa meno bene. Chi spinge sull’acceleratore del sentimentalismo e chi invece si limita a lasciar parlare i fatti; ma capita in questi giorni, nella nostra piccola realtà siracusana che dopo la pubblicazione di un articolo, la controparte metta in atto delle azioni per dissuadere il giornalista e la testata dal proseguire nel pubblicare per denunciare, minacciando azioni legali e richieste di risarcimento come una spada di Damocle. Ma chi fa le inchieste deve non solo trovare le notizie, verificarle più volte e fare attenzione al rigoroso rispetto dei limiti di pertinenza, misura e interesse generale nella costruzione del suo lavoro all’insegna della sola verità, dei fatti oggettivi. Succede però spesso che dopo la pubblicazione dell’articolo, la vicenda, raccontata con enfasi e notizie scandalose, diventa attraverso la richiesta di replica il giorno dopo tutt’altra cosa. Si spegne il fuoco del giorno prima per diventare una scrittura mielosa, quasi a chiedere scusa. Ma rimane l’amaro in bocca nel vedere l’annichilirsi di chi prima denunciava con enfasi e chiarezza, per poi chiedere quasi venia utilizzando i trucchi nascosti nella lingua italiana e tornado indietro in maniera davvero poco edificante per la professione di giornalista. È il limite alla legalità ma se si sicuri di quello che si è scritto, non si può cedere alle forme di pressione ricevute per bloccare il lavoro di un giornalista che si collocano nel perimetro della legalità. O come scrive Leonardo Sciascia: “A ciascuno il suo”.
Concetto Alota