L’Opinione – La mafia e la politica in Sicilia da sempre in connubio – A cura di Concetto Alota

“In Sicilia comandano e muovono voti uomini che hanno trascorso molto del loro tempo, negli ultimi anni, nei corridoi dei palazzi di giustizia a difendersi da accuse di contiguità con i mafiosi, alcuni sono stati condannati, altri sono stati assolti, ma sempre sono emersi significativi rapporti; eppure, questi soggetti continuano a muovere le fila della politica in Sicilia”.

Così Nino Di Matteo, pm antimafia siciliano e Consigliere togato del Csm, lancia un nuovo atto di accusa sul contesto che caratterizza i rapporti tra mafia e politica, nel corso di un’iniziativa promossa dalla Flc Cgil Camp a Isola delle Femmine a Palermo.

Nel suo intervento Di Matteo ha osservato che nelle prossime ore sarà al governo del Paese un partito fondato anche dal senatore Dell’Utri, condannato per concorso in associazione mafiosa. “Una sentenza definitiva – ha sottolineato – attesta che per almeno 18 anni è stato l’intermediario di un patto tra le più importanti famiglie mafiose palermitane e l’uomo politico Silvio Berlusconi”.

Di Matteo ha voluto poi ricordare quanto detto da Paolo Borsellino in occasione di una conferenza tenuta a Bassano del Grappa in merito al fatto che “se non è dimostrato un reato, non si fanno valere le responsabilità politiche di determinate condotte consapevoli”. Il magistrato ha quindi aggiunto “oggi è anche peggio, non vengono fatte valere le responsabilità politiche neppure quando un reato è stato dimostrato e con condanne definitive”, per questo serve “una rivoluzione delle coscienze che scuota il torpore e rassegnazione in cui sembra sia caduto il Paese”, esortando i giovani “all’approfondimento e alla consapevolezza che non si può accettare che la politica venga condizionata dalla mafia. Me lo auguro prima da cittadino e poi da magistrato”. (Fonte Ansa)

Ma non è affatto una novità. Infatti, nello storico della Sicilia, si inserisce la mafia-politica sfociata dopo anni di connubio tra i politicanti e gli imprenditori senza scrupoli che spopparono i territori; di fatto, avevano monopolizzato la politica, le scelte sull’economia, degli appalti pubblici, strade e autostrade, porti e tutto il resto; i pentiti parlarono negli Anni Settanta di stipendi fissi di otto milioni nella media mensile a uomini della politica sparsi in tutta la Sicilia, così come nel resto dell’Italia, al soldo dei poteri forti. Un cartello d’imprese che monopolizzò l’intero portafoglio di appalti pubblici nell’intera Sicilia, che si era allargato anche nel resto del Paese e all’estero.

È inutile nasconderlo, sono tanti i furbi che nel tempo e al momento giusto hanno cavalcato l’antimafia, solo per fini strettamente propagandistici. I fenomeni, come quello della mafia, diventano capaci di oscurare ogni altra condizione nella vita politica, economica e sociale, in una visione di livello mondiale, incutendo la paura collettiva e affascinando addirittura una vasta fascia della popolazione, e quindi della pubblica opinione.

Che oggi in Sicilia la cura contro la mafia-politica è risultata peggiore del male è una realtà da guardare a vista, in un territorio interessato alla trasformazione sociale e politica; vedi l’ultima relazione della Commissione antimafia presieduta da Fava sulla Sanità. Pur tuttavia, occorre distinguere tra dettare le norme e regolarne i contenuti. L’esempio sul territorio siracusano che negli ultimi anni si è attestato, nel quadro clinico della mafia, nella graduatoria nazionale prima della capitale della mafia, Palermo. Abbiamo appena appurato che si tratta, invece, di un territorio dove la mafia-politica è stata nel passato tra la più agguerrita e organizzata della Sicilia, spolpata all’osso dalla politica: Sanità, lavori pubblici, assunzioni, sperpero di pubblici denaro, etc.

Un dibattito parlamentare quello della nascita della Commissione antimafia che si è inserito nella tematica connessa all’indirizzo politico dei Governi succedutisi alla guida del Paese, spesso sollecitata da una pubblica opinione colpita e disorientata da ogni nuova manifestazione di quel particolare tipo di delinquenza organizzata che è la mafia. Il 27 luglio 1948, il deputato Berti, svolgendo alla Camera dei deputati una interpellanza chiedeva conto al Governo della politica che si intendeva condurre per porre fine ai soprusi verificatisi contro il movimento operaio e contadino e ai delitti di mafia che avevano insanguinato la Sicilia. La strage di Portella della Ginestra e altri. L’interpellanza dei deputati Berti Giuseppe fu Angelo, Di Mauro, Failla, D’Agostino, Calandrone, Pino e Sala. “Al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’interno per conoscere a quali crateri si è ispirato il Governo nella sua politica sociale e d’ordine pubblico in Sicilia, particolarmente in relazione ai soprusi verificatisi nelle agitazioni contadine e operaie e ai delitti di mafia e di banditismo che hanno insanguinato la Sicilia; l’onorevole Li Causi, gli assassini dei sindacalisti Li Puma, Rizzotto e Cangelosi mostravano come la mafia “forza delittuosa permanente e in un certo senso dominante della Sicilia e il banditismo avessero assunto il ruolo di “ avanguardia armata” contro operai e contadini a difesa degli interessi dei latifondisti e delle loro clientele politiche. Mafia e banditismo, latifondo e ambienti politici siciliani creavano, avvalendosi anche delle relazioni internazionali tenute, anche per il tramite della malavita americana, dal Governo regionale in vista di una “utilizzazione militare” della Sicilia, quella struttura di potere che, con il favore del Governo, dominava la Sicilia ed era responsabile della “ondata di terrorismo contro i comunisti e… contro le organizzazioni operaie”. Rispondendo all’interpellanza il ministro Scelba respingeva l’ipotesi di collegamenti e rapporti internazionali tenuti dal Governo regionale e negava che il Governo nazionale avesse “qualsiasi responsabilità su fatti o su delitti politici della mafia o non della mafia accaduti in Sicilia”. La mafia, proseguiva il Ministro, essendo un fenomeno secolare, non era imputabile ad una determinata linea politica. “Certamente la mafia trova protezione in sfere molto elevate che essa protegge a sua volta, e nelle recenti elezioni tutti i partiti – affermava il ministro Scelba – “compresi quelli dell’estrema sinistra hanno approfittato, in quella zona della Sicilia, della mafia, anche se per le dimensioni che la lotta elettorale ha raggiunto non è la protezione di un capo mafia locale che può determinare la vittoria”.

La Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, prende corpo nel corso della quinta legislatura; si chiama “Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia” che ha operato sulla base della iniziale legge istitutiva (legge 20 dicembre 1962, n.1720), che non prevedeva un termine di scadenza per l’effettuazione dell’inchiesta. Commissione che si è costituita il 13 novembre 1968. Primo presidente è stato il deputato Francesco Cattanei, democristiano, dal 4 ottobre 1968 al 24 maggio 1972 componente dal 4 ottobre 1968 al 24 maggio 1972.Fa parte anche il deputato siracusano onorevole Marcello Sgarlata, DC, componente dal 13 aprile 1970 al 24 maggio 1972.

Nel corso della legislatura la Commissione ha presentato diverse relazioni tematiche (Doc. XXIII, n. 2, Relazione sulla indagine svolta in merito alle vicende connesse alla irreperibilità di Luciano Leggio, relatore on. Malagugini; Doc. XXIII, n. 2-ter, Relazione sulle risultanze acquisite sul Comune di Palermo, relatore sen. Pafundi; Doc. XXIII, n. 2-quinquies, Relazione sull’indagine riguardante le strutture scolastiche in Sicilia, relatori on. Meucci e altri; Doc. XXIII, n. 2-sexies,Relazione sui rapporti tra mafia e banditismo in Sicilia, relatore sen. Berardinetti) e una Relazione sui lavori svolti e sullo stato del fenomeno mafioso al termine della V legislatura (relatore on. Cattanei), contenente l’indice analitico della documentazione esistente agli atti della Commissione, presentata il 4 maggio 1972 (Doc. XXIII, n. 2-septies).

A Siracusa gli interessi mafiosi e politici sono stati da sempre diffusi, così come i comportamenti che attengono una seria di appalti pubblici gestiti dalla politica e che sembrano andare verso una soluzione abbastanza vicina all’odore di mala politica. Così, si presenta silenziosa come nell’anticamera di una vecchia logica mafiosa, non fosse altro per il “modus viventi” della classe politica a tutti i livelli e le cruente lotte intestine, di fatto, mai interrotte, più per interessi economici, che per ideologie politiche. Era la logica di Pippo Fava, il giornalista ammazzato dalla mafia catanese, considerare i rapporti tra la politica e gli imprenditori e un “affaire” mafioso scontato” a priori, quando definì “i quattro cavalieri dell’Apocalisse”.

Chi scrive, nei primi mesi dell’Anno 1971, da giovane sindacalista della Cisl siracusana, segretario generale Enzo Terranova, con la passione del giornalismo, appena uscito dai corsi di formazione per aspiranti sindacalisti del Centro Studi Cisl di Fiesole a Firenze, in una lunga e articolata relazione sull’attività della “politica organizzata” nel territorio siracusano, riuscì ad attirare l’attenzione dell’allora presidente della Commissione nazionale Antimafia, Francesco Cattanei. In quella Commissione faceva parte anche il parlamentare siracusano della Democrazia Cristiana, On. Marcello Sgarlata, che fu relatore in sede di commissione di quell’articolata denuncia. L’esposto-relazione mise in moto un meccanismo giuridico e politico, collegando tra loro quasi tutti i fatti che univano gli uomini della politica siracusana e i palazzinari sulla speculazione edilizia e il riflesso rapporto con la Commissione edilizia e dell’uso del Piano Regolatore Generale della città, l’appalto della raccolta dei rifiuti, il rilascio delle licenze per la costruzione dei palazzi e la sanatoria di interi palazzi nati abusivamente e degli attici da sanare, oltre alla spartizione del sottogoverno in base agli interessi economici, gli appalti pubblici di strade, opere necessarie e tanto altro; il quadro si completa con attentati e l’esplosione di ordigni contro villette e segreterie di politici con i relativi messaggi cifrati. Il Questore dell’epoca e un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, su delega della Commissione Nazionale Antimafia, in un voluminoso dossier raccolsero prove che scoprivano una pentola di acqua sporca che bolliva di nascosto su tutta una serie di traffici illeciti in danno al pubblico denaro e corruzione diffusa. Le risultanze delle indagini provarono che a vario titolo buona parte degli uomini della politica erano legati a doppio filo e avevano, ognuno per il proprio compito e ruolo, approfittato del potere temporale di pertinenza detenuto, per interessi personali o di gruppo, o per favorire amici e parenti, intervenire su pratiche che riguardavano quasi sempre le stesse imprese, con tanti intrecci diretti il più delle volte con elementi pregiudicati della malavita del tempo. Tutto quel dossier come per incanto sparì nel nulla, ma la pratica di organizzarsi rimase ancora viva e vegeta per tanti anni, fino a raggiungere qualità superlative con i moderni colletti bianchi.

La storia raccontata, nella logica dei fatti accaduti, non segue un percorso lineare, definito, ma tenta di ritornare al punto di partenza, invertendo la corsa improvvisamente e tornando indietro per raccontarci ancora fatti inediti poco prima sfuggiti alla vecchia logica, ma nel tempo i politicanti si sono raffinati e oggi non include più l’ideologia, ma gli interessi strettamente personali.

La richiesta dell’intervento per ripristinare la legalità, o invito che dir si voglia verso una politica seria e onesta, non sortisce l’effetto emozionante di un tempo, quando l’aspettativa diventava il fatto necessario, importante, sia dal punto di vista politico istituzionale, sia d’incombente pericolo per il vivere civile, nello spirito dello Stato dei diritti mancati per l’intera collettività. I risultati negli ultimi tempi sono stati disattesi e le visite delle varie Commissione Antimafia sono finiti quasi sempre con una lunga passerella istituzionale, addomesticata da parte dei soliti noti e discorsi copiati e tutti dallo stesso sapore strumentale e demagogico; una disquisizione di trattati sociali e politici, di termini giuridici azzardati, sprecati, e con una lunga e articolata relazione al Parlamento per finire tutto nel cestino del dimenticatoio. Le visite sembrano più dettate dalla necessità di calmare gli animi agli addetti ai lavori, e di politicizzare le condizioni che sono invece di esigenza personale, che dall’esigenza reale della pubblica opinione di potersi finalmente liberare di questo fenomeno silenzioso chiamato “mafia-politica”.

Nel passato l’elenco diffuso nel merito dei fatti aggravanti per giustificare la presenza nel nostro territorio della Commissione Antimafia, appare debole e assai pernicioso. Non ammette o accenna mai al fatto che ci sono, in effetti, delle gravi fratture tra le istituzioni, con il pericolo di un allarme sociale davvero inquietante; un forte conflitto acclamato dalla cronaca e dei fatti realmente accaduti tra una parte della politica e la magistratura inquirente (vedi i voluminosi e scottanti fascicoli “Veleni alla Procura” e “Attacco alla Procura” e ora ancora per il resto della storia con il “Sistema Siracusa” – che si scopre essere il Sistema Italia – che prende corpo silenziosamente all’inizio degli Anni 2000). Una cosa è sostenere un’azione giusta e sacrosanta, dettata dalla logica dei fatti reali accaduti, o dalla ragion d’onore, dei doveri o dei diritti calpestati, altra cosa è tentare di puntellare o di equilibrare a tutti i costi una grave e pericolosa vertenza, insorta con tanta violenza e crudeltà, da parte di chi non vuole essere da meno riguardo ai poteri attribuitigli dalla Carta costituzionale. Questa nostra umile e martoriata terra è una realtà dove il torto può diventare la ragione e l’alba il tramonto. Anche i miti hanno un tempo relativamente breve per essere dimenticati o sostituiti, ma qui in Sicilia, terra della mafia-politica da tanto, troppo tempo, tutto è fermo. La speranza nel sacrosanto e onesto dovere nell’insistere sull’oggetto della materia del contendere denunciato, senza semplice e facile politica, spicciola e inutile, per non scivolare ancora una volta verso l’inarrestabile baratro dell’egoismo, della demagogia e della strumentalizzazione.

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