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i sono tre siracusani coinvolti nell’operazione antimafia denominata “Sotto scacco” portata a termine dai Carabinieri del Comando provinciale di Catania con l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 40 persone fra Catania, a Siracusa, Cosenza e Bologna.
I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di falsi e truffe ai danni dell’Inps.
Le indagini, coordinate dalla Dda di Catania, hanno permesso di ricostruire gli organigrammi di gruppi mafiosi della famiglia Santapaola-Ercolano a Paternò e Belpasso. Secondo l’accusa, gestivano un fiorente traffico di stupefacenti, in particolare marjuana e cocaina, ma anche estorsioni, riciclaggio, ricettazione e avrebbero creato una situazione di grave condizionamento del tessuto economico locale.
Tra gli elementi di vertice, ricostruisce la Dda, c’era il boss Santo Alleruzzo che, nonostante una condanna all’ergastolo per duplice omicidio, mafia e traffico di droga che sta scontando detenuto a Rossano (Cosenza), approfittava dei permessi premio per ritornare nel paese d’origine, Paternò (Catania), dove durante di summit mafiosi continuava ad impartire ordini e direttive per la gestione degli affari del clan.
E’ stato tradotto in carcere l’augustano Omar Francesco Borzì di 32 anni, ritenuto vicino al clan Alleruzzo per il quale avrebbe svolto il ruolo di custode e spacciatore di stupefacenti, mentre sono stata applicata la misura degli arresti domiciliari a carico dei siracusani Pasqualino Malandrino di 40 anni, e Sebastiano Saraceno di 56 anni.
L’operazione dei carabinieri di Catania ha fatto emergere «una situazione di grave inquinamento mafioso del tessuto economico locale, come dimostra l’individuazione di diversi imprenditori che consapevolmente favorivano le illecite attività del clan». E’ quanto emerge dall’inchiesta coordinata dalla Dda etnea e sfociata nell’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare per 40 indagati. Come il caso del titolare di una ditta di commercio di prodotti ortofrutticoli che otteneva la protezione della mafia per imporsi sulla concorrenza e gestire eventuali “problemi” con i creditori versando ai vertici della cosca una percentuale degli utili di impresa e consentendo loro di concludere affari. O, ancora, il proprietario di importanti gioiellerie che consentiva al capo del clan di operare compravendite in contanti di diamanti, orologi e gioielli, senza rendicontazione fiscale, permettendogli di riciclare denaro “sporco”.