Omicidio Romano, il pm chiede 30 anni per Attanasio

Per la pubblica accusa, Alessio Attanasio è l’esecutore materiale dell’omicidio di Giuseppe Romano, avvenuto la mattina del 17 marzo 2001 in via Elorina. Il pm Salvatore La Rosa della direzione distrettuale antimafia, a conclusione della requisitoria, ha, infatti, chiesto la condanna a 30 anni per colui che è ritenuto lo storico capo del clan Bottaro-Attanasio. Il processo si sta celebrando davanti al gup del tribunale di Catania, Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo, con il rito abbreviato. Nell’articolata requisitoria, il rappresentante della pubblica accusa ha sostenuto essere stata raggiunta la prova che Attanasio, la mattina del 17 marzo di 17 anni fa si trovava in sella a una moto di grossa cilindrata, per sparare sei colpi di pistola a tamburo in sequenza che hanno raggiunto e ucciso Romano. La vittima si trovava alla guida di una Fiat 126 e stava imboccando la via Elorina quando, all’incrocio, nel rallentare per immettersi sulla strada statale 115, è stato freddato dai sicari.

Una parte fondamentale nella ricostruzione dei fatti e nel convincimento del pm La Rosa  è stato il racconto di alcuni collaboratori di giustizia Salvatore Lombardo, Attilio Pandolfino, Dario Troni, Antonio Tarascio e Rosario Piccione. Sulla scorta delle loro dichiarazioni, infatti, la Procura distrettuale antimafia di Catania gli contesta “di avere, in concorso con persona da identificare, attingendolo al capo ed al tronco con diversi colpi di pistola, cagionando la morte di Giuseppe Romano con l’aggravante di avere agito con premeditazione e con metodo mafioso al fine di agevolare l’attività del clan Bottaro, cui egli era affiliato, e del clan Santa Panagia nel cui interesse l’omicidio della vittima designata era stato deciso”. I collaboratori di giustizia hanno anche riferito di un possibile errore di persona, perché dentro quella Fiat 126 quella mattina avrebbe dovuto esserci un appaltatore e non Pippo Romano.

Dopo che il pubblico ministero ha dettato le proprie conclusioni, l’imputato, collegato in video conferenza, ha rilasciato dichiarazioni spontanee sostenendo che, nell’immediatezza dell’omicidio, ha ricevuto nelle sue abitazioni perquisizioni domiciliari da parte degli investigatori, ma quell’attività investigativa è risultata vana perché gli investigatori non trovarono alcun elemento o spunto di interesse per le indagini.

Adesso tocca alla difesa di Attanasio, rappresentata dagli avvocati Maria Teresa Pintus e Licinio Albanelli La Terra, svolgere l’arringa, fissata per il 14 maggio. “In quella circostanza, dimostreremo – dice l’avv. La Terra – che una lettura separata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia dà una chiave di lettura diversa rispetto a quella offerta dall’accusa. Faremo leva anche sugli accertamenti balistici e le consulenze medico legali che tendono a scagionare il nostro assistito”. Il gup Barbagallo, che non si è ancora pronunciato rispetto all’ulteriore perizia chiesta dalla difesa. La sentenza del processo dovrebbe essere pronunciata a settembre non prima di una breve quanto formale replica da parte della pubblica accusa.

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