Al termine di una serata di festeggiamenti per l’inaugurazione dell’ottavo Giugno Barocco a Pozzuoli, un incontro misterioso dà il via ad un percorso ricco di aneddoti, riflessioni filosofiche e intimi rimproveri.
Massimo Fargnoli, Presidente dell’Accademia Musicale Napoletana, direttore artistico dell’Orchestra Scarlatti di Napoli e dell’Orchestra Sinfonica di Roma della Rai, nel suo “PergoLennon o l’arte della Sincronicità”, pubblicato dalla Zecchini Editore, dà voce a cinque compositori famosi di epoche diverse: Pergolesi, Mozart, Rossini, Gershwin e Lennon, oltre che a monaci, frati – come il letterato Jacopone da Todi –, protagonisti di opere famose e altri musicisti, i quali instaurano con l’autore un serrato dialogo dall’atmosfera onirica in cui si alternano racconti di incontri, episodi in vari ambienti di lavoro, di amicizie e familiari in un incrocio fra le vite dei 5 “geni della musica” e quella di Fargnoli, il cui filo conduttore è il percorso alla scoperta di una misteriosa “Centrale J”.
Le anime (o fantasmi), che, essendo legate fra loro in una sorta di catena di reincarnazioni simile alle concezioni buddiste, di fatto ne formano una sola, ricordano all’autore aneddoti legati ai loro successi o fallimenti e indagano nel suo animo o fra le sue intenzioni come il grillo parlante di collodiana memoria, rimproverandolo ed impedendogli di rifugiarsi in comode resistenze alla propria coscienza: “(…) conclude Pergomoz, ammonendomi come questa piccola disfatta avesse compromesso addirittura la mia permanenza nel ruolo che rivestivo, poiché fu un chiaro segnale di resa che ora mi toccava ricapitolare in tutti i possibili e anche penosi risvolti” o: “Cerco nel monaco un improbabile conforto esplicativo per tali parole che mi trafiggevano come il vento gelido di quello spericolato pomeriggio viennese, ma lui, se possibile, rincara la dose (…) Totalmente scoraggiato dall’incolmabile distanza tra il mio meschino vissuto e la realizzazione di tale altissimo e misterioso compito, mi adagio su una panchina, aspettandomi qualche altro cazziatone dal terribile monaco (…)”.
Il tutto impostato in un fitto e intenso scambio, in cui i personaggi immaginati lanciano input dai quali l’autore parte per raccontare episodi sulla sua carriera professionale o su alcune vicende personali.
Gli incontri sono suddivisi in cinque capitoli e avvengono in altrettante città: Pozzuoli, Salisburgo, Napoli, Parigi e Londra, fra il 1999 e il 2001. La loro cronologia è lineare, ma non lo è quella riguardante i ricordi dell’autore, i quali, invece, si susseguono quasi per associazioni di idee.
Ricordi che Fargnoli usa, fra l’altro, per discettare su alcune discipline o esporre le sue concezioni filosofiche ed esistenziali. Fra queste, purtroppo, è inserito brevemente anche qualche preconcetto di matrice cristiana preconciliare, come quando dipinge l’ebraismo come “intransigente”, in opposizione ad un cattolicesimo più indulgente e misericordioso o fa dire ad uno dei suoi interlocutori che gli ebrei sono “sofferenti” per “quel senso di colpa inscritto nella coscienza del mio popolo per aver lasciato condannare a morte il nostro ultimo Profeta”.
Affermazione, quest’ultima, dalla quale sembra però dissociarsi adducendo una pallida mitigazione un po’ più politically correct: “Sobbalzo a questa ‘lieve’ ammissione che poneva in essere questioni aldilà della mia portata, cercando di appellarmi agli esempi della famiglia della mia ex suocera che giammai avrebbe sottoscritto una tale responsabilità.
‘Non mi sembra il punto centrale della questione, ce n’erano tanti di profeti in Galilea a quel tempo, forse era difficile riconoscere quello autentico’ – replico, quasi a giustificare quella ‘piccola vicenda’”.
Un libro, dunque, in cui aneddoti leggeri si intrecciano con concetti complessi, con un linguaggio e una narrativa abbastanza scorrevole.
Elena Lattes