In tutto il mondo è ormai arcinoto che il territorio industriale siracusano è diventato un luogo avvelenato oltre ogni misura. Da oltre 70anni istituzioni, politici, medici, prefetti, giornalisti, Asp, magistrati e cittadini conoscono come stanno le cose. La scoperta del silenzio sui connubi tra le istituzioni a più livelli sono stati una conquista della verità costata migliaia di vite umane in incidenti con circa 330 infortuni che hanno provocato morti in incendi, scoppi, crolli, inalazioni di gas e veleni; esseri umani innocenti rei semplicemente di essere nati qui nell’inferno sulla terra; uomini morti asfissiati dai gas o bruciati vivi dalla corrente elettrica, oltre ai malati di tumore che non sono quantificabili tra la popolazione. E questo in perpetua emergenza: veleni nell’aria, nel mare e sotterrati in lungo e in largo; diventa pleonastico e inutile alimentare questa incredibile storia, emblema del collasso dei diritti per i cittadini in uno Stato di diritto solo a parole.
Una storia che è ormai arcinota e che registra ogni giorno piccoli incidenti e fughe di gas, come quella di qualche giorno quando due taniche di acido nitrico cadute per terra durante il trasporto venute in contatto con l’acqua sull’asfalto hanno sprigionato una nube giallastra, oltre ai tanti rinvenimenti di rifiuti tossici ancora oggi fuori ogni logica di legge. La storia è nota; tutti sanno come sono andate le cose. Fatti gravi che interessano ognuno di noi, anche se continua a essere trattata perlopiù come un fatto di cronaca locale, mentre viviamo uno dei momenti più difficili della nostra storia dell’economia e del lavoro, divisi tra la sperata prosperità e la sofferenza, incapace di ridare forza a uno stile di esistenza imprigionato nell’esteriorità e non nella sostanza delle cosa
L’ambiente è ormai distrutto da laceranti invasioni di veleni; il mare e i fiumi invasi da idrocarburi e percolato, l’aria invasa da odori nauseabondi, il nostro tempo è attraversato da un tremito d’impotenza: tumori, cancri, malattie diffuse, le prevaricazioni d’industriali senza scrupoli che creano povertà , mafia politica, putrefazione continua della società dove a dominare rimane la corruzione.
Lo scenario nel Petrolchimico siracusano rimane inalterato da decenni: ogni giorno gas, fumo e fiamme sinistre s’innalzano verso il cielo. La puzza è irrespirabile, i rifiuti ammassati in discariche che continuano a inquinare. A denunciare tale siffatta condizione sono rimasti solo i comitati e le associazioni ambientaliste e l’instancabile arciprete di Augusta don Palmiro Prisutto che come un guerriero continua a lottare senza sosta e con tanta passione, mentre dalle istituzioni e dalla politica il silenzio è totale, tranne quando si tratta di strumentalizzare vicende, avvenimenti, o di attivare la necessaria demagogia del momento.
Il tutto conferma ancora oggi la presenza strumentale politica dei sindaci dei comuni industriali che hanno fatto il bello e il cattivo tempo; sempre legati e profondamente intrecciati con i soggetti che controllano l’economia locale. L’abusivismo dell’inquinamento è un fatto endemico, sfruttato per collegare il ricambio del favore, connesso ai posti di lavoro in cambio del silenzio a orologeria, destinato all’esistenza di un connubio eterno. Quello che ora preme evidenziare è il ripetersi di atti che producono l’inquinamento sono ritornati violentemente il cui riflesso si esaurisce nella dimensione locale e per l’appunto in un semplice studio del caso, ma supporta di contro una visione drammatica del futuro. Una sorta di deregolamentazione, in cui tutti sono muti, sordi, ciechi. La storia locale, è molto meno particolare e minuscola di quanto possa apparire, ma al suo interno confluiscono modi di relazione e potere che ha caratteri generali e a loro modo universale, che sono in sostanza connessi alla relazione tra grande capitale e territori periferici. Parlare di Petrolchimico oggi significa discutere della relazione tra sovrani e sudditi, negli esiti dell’industrializzazione nel sottosviluppo, oltre che del fallimento dell’industrializzazione, senza crescita e futuro; ancor peggiore è il pericolo dello smantellamento con i veleni che rimangono nel territorio, com’è successo per il passato.
Relazioni intrecciate tra la politica e le industrie; espressione, riproposta frequentemente da fattori sociali e dal ricatto occupazionale, nell’incertezza e nel rischio sanitario o della resistenza che essa genera nella passività delle masse cui la verità è vietata e l’illegalità connessa, quale stratagemma finale. Qui ci si ammala e si muore in silenzio; e questo accade in maniera seriale. Anche quando le cause di quelle malattie e di quelle morti, con elevata probabilità logica, stanno nell’ambiente di quegli stessi posti; nella loro aria, nella loro acqua, nella loro terra, nei loro luoghi di vita e di lavoro. Nell’immaginario collettivo l’emergenza ambientale e sanitaria nei petrolchimici è nota. Così come in prossimità dell’area industriale un aumento complessivo del tasso d’incidenza per tutti i tumori in corrispondenza di più elevate concentrazioni di anidride solforosa; incrementi di ricoveri e decessi per malattie cardio-respiratorie in corrispondenza d’innalzamenti delle concentrazioni in aria di alcuni macroinquinanti anche entro i limiti di legge e con venti provenienti dall’area industriale che conferma l’anello che collega l’ambiente alla salute, mentre le mille richieste di bonificare il territorio sono rimaste lettera morta, compresa la promessa dell’attuale ministro dell’Ambiente, riconfermato nel governo giallorosso.
Concetto Alota