Oltre alla Magistratura, anche la Corte dei Conti vuol vederci chiaro sul presunto sperpero di pubblico denaro. Si tratta di somme investite per la realizzazione dell’impianto di deodorizzazione nel depuratore di Priolo di proprietà della Regione Siciliana e gestito dall’Ias e mai entrato in funzione. Circa due mesi fa, gli investigatori che si stanno occupando del caso, hanno acquisito nella sede dell’Ias di Priolo (fatti che interessano anche l’ex Consorzio Asi di Siracusa e l’Irsap), tutta la documentazione relativa alla realizzazione di quell’impianto mai entrato in funzione perché inadeguato e non funzionante.
Le indagini della Procura di Siracusa sull’inquinamento hanno anche riportato alla luce che all’Ias esiste un impianto chiamato “di deodorizzazione” collaudato nel 2005 e mai andato in marcia. La ricerca di condizioni che provocano inquinamento nell’aria, a mare e a terra da parte della Procura di Siracusa, è ancora in corso e si espande a macchia di leopardo, accumulando nel totale oltre 20 indagati tra rappresentanti legali delle società coinvolte, e nel caso dell’Ias anche i componenti del Cda, relativi al periodo tra gennaio 2014 e giugno 2016. E proprio nel 2014 l’impianto di deodorizzazione prende forma; costato ben 4 milioni di euro e realizzato dall’ex consorzio Asi, proprietario del depuratore di Priolo, con fondi del ministero dell’Ambiente e consegnato subito dopo all’ Ias. Aveva lo scopo di risolvere il problema dei cattivi odori, nei comuni adiacenti all’area industriale, per migliorare la qualità dell’aria che respirano i cittadini, ma anche dei dipendenti avvelenati notte e giorni da aria nauseabonda che puzza di veleni industriali. Lo studio sul motivo del perché quell’impianto di deodorizzazione non ha mai funzionato fu affidato dall’ex presidente dell’Ias, Sara Battiato, al professore di ingegneria civile e meccanica dell’Università di Trento, Gianni Andreottola, che confermò che si tratta di “un impianto non idoneo ad eliminare i cattivi odori provenienti dal sistema di depurazione”.
I tre consulenti della Procura di Siracusa hanno eseguito nei giorni scorsi analisi accurate anche nei fondali marini in cui scaricano le acque reflue dei depuratori, in teoria pulite, confrontando i dati ed hanno elaborato i calcoli che hanno reso possibile ricondurre all’emissione inquinante e all’incidenza di ogni impianto incriminato.
Già nel 2014, i vertici dell’Irsap, avevano in autotutela presentato un esposto all’autorità giudiziaria in cui segnalavano le tante criticità riscontrate dai funzionari dell’ente, che avevano rappresentato le varie fasi della progettazione, realizzazione e collaudo degli impianti, oggi cause delle disfunzioni del depuratore e del sistema di deodorizzazione, che avrebbero provocato l’emissione in aria di sostanze nocive per la salute pubblica.
Alla stessa conclusione è giunta la perizia dell’Irsap, dopo che l’ex presidente Battiato ha srotolato la verità, informò la magistratura inquirente dei fatti. Anche i soci privati dell’Ias, le industrie, provarono a modificare l’impianto investendo una bella somma di denaro, ma senza risultati.
L’abbattimento degli odori, deve avvenire mediante il lavaggio chimico dell’aria. La rimozione dei contaminanti dal flusso d’aria avviene durante il passaggio attraverso uno o più stadi contenenti speciali corpi di riempimento che garantiscono un’elevata superficie di contatto tra aria e soluzione di lavaggio.
In tutta la Sicilia, così come in tutto il Meridione, la depurazione è deficitaria. Depuratori che non depurano e il più delle volte sono stati accusati paradossalmente d’inquinamento. I fanghi prodotti sono il terminale tossico di processi di depurazione deficitari delle acque reflue, accogliendone tutto il materiale organico e chimico, ma dove vanno a finire è un vero rompicapo, dove stanno lavorando gli inquirenti e gli investigatori di quasi tutte le Procure della Sicilia.
Concetto Alota