Siracusa – Negli appalti del petrolchimico siracusano nell’ultimo anno, nonostante il blocco dei licenziamenti, nel solo settore metalmeccanico si sono persi circa 400 posti di lavoro, un emergenza la cui responsabilità è tutta da ricercare in un sistema industriale che pur rappresentandosi quale improbabile “strumento di stabilità sociale” ha in questi anni affrontato la crisi, spingendo sull’abbattimento dei costi come mezzo per competere nel mercato globale, invece di investire sul lavoro e sulla qualità delle produzioni. A Priolo, in questi giorni di ansia da “Recovery fund” si manifesta, in realtà, il profondo arretramento di un sistema industriale decisamente in ritardo di fronte ad un indifferibile processo di transizione energetica che, alla luce anche delle negative ricadute sull’economia derivanti dall’emergenza sanitaria, e al netto delle esternazioni a favor di media d’imprenditori e politici folgorati sulla via della “green economy” resta orfano di una concreta “pianificazione industriale” che dal punto di vista metalmeccanico lascia intuire un epilogo negativo per il rilancio produttivo e la difesa dei livelli occupazionali.
Dal 2012 a oggi nel settore degli appalti hanno perso il lavoro circa 3000 lavoratori, un numero che inesorabilmente in crescita rappresenta il dramma di un’industrializzazione incompiuta e lo specchio dell’assoluta mancanza di “prospettiva“ di una classe politica-imprenditoriale che continua a disperdere l’enorme patrimonio rappresentato da un settore, che acquisito un altissimo livello di professionalità e competenza, può ritenersi a pieno titolo parte integrante di una filiera produttiva ancora in grado di competere sui mercati internazionali se opportunamente potenziata e riqualificata.
Il futuro del Petrolchimico di Priolo appare oggi pericolosamente avvolto nell’incertezza di un piano di “resilienza” solo abbozzato alla ricerca di aiuti economici che lascia presagire un ridimensionamento dell’apparato industriale con la scomparsa, nel solo comparto metalmeccanico, di altri 1000 posti di lavoro. Questo, in una provincia come la nostra, con una disoccupazione che va oltre il 30%, rischia di generare una pericolosa spinta centrifuga verso una marginalizzazione sociale che senza adeguate risposte e continuando a fuggire un vero confronto sul lavoro e la sua qualità, sulla politica degli appalti, sul complesso rapporto fra profitto, responsabilità sociale d’impresa e occupazione, rischia di minare pericolosamente la stessa coesione sociale.
Occorre una visione di sviluppo condivisa che partendo dal tema strategico delle bonifiche realizzi un piano di riconversione e sviluppo ecocompatibile del polo petrolchimico, creando le condizioni per una virtuosa verticalizzazione delle produzioni e di transizione verso un’economia circolare, oppure sarà complesso tenere insieme lavoro, diritti e sviluppo sostenibile e Priolo sarà destinata a diventare una cattedrale nel deserto come Gela.
I metalmeccanici non sono disposti, a pagare il prezzo dell’immobilismo della politica e dell’irresponsabilità dei grandi gruppi, Eni in testa, che rifiutano qualsiasi ipotesi di “responsabilità sociale”. Per questo motivo Fiom – Fiom – Uilm spingono ancora una volta le aziende e la politica a mostrarsi nei fatti “responsabile strumento di stabilità sociale” dotandosi
di un bilancio sociale che assuma quali principi vincolanti legalità, sostenibilità sociale, rispetto per l’ambiente, riscrivendo nuove e corrette politiche industriali.
Di fronte all’immobilismo delle aziende e della politica ai lavoratori, al sindacato non resta che elevarsi a “soggetto sociale” mettendo in campo tutta la forza e l’intelligenza di cui sono capaci per rimettere al centro la persona e i suoi bisogni, dettare condizioni e indirizzi, per ridare il giusto valore al lavoro, alla salute, all’ambiente e occorre farlo uscendo dall’angolo, riallacciando le fila di un vero processo di crescita economico – sociale spendibile a favore di tutto il territorio. Sarebbe stato auspicabile un progetto di sviluppo condiviso, ma forse è troppo tardi, per i lavoratori metalmeccanici si preannuncia un’estate di difficoltà ma soprattutto di lotta in difesa del diritto al lavoro.