Nebbia e foschia si addensano quindi nella gara avviata lo scorso 20 dicembre dall’Irsap per l’affidamento della gestione del depuratore di Priolo a soggetti privati e gestito dall’Ias che potrebbe andare deserta per alcuni difformità sia pratiche, sia economiche. Infatti, secondo fonti qualificati dagli ambienti industriali, l’impianto del depuratore consortile versa in uno stato critico e finisce ancora una volta sul banco degli imputati con il dito puntato sulle politiche sbagliate della Regione Siciliana, proprietaria dell’impianto. Non si fa nessun accenno alla tutela dei livelli occupazionali o a una sia pur minima difesa dei posti di lavoro degli attuali dipendenti ma semplicemente di “prestazioni di personale per garantire il controllo ed il regolare funzionamento di tutte le componenti dell’impianto in maniera continuativa”. Le varie denunce parlano di strutture degradate, filtro presse, impianti vecchi e obsoleti che depurano i reflui della zona industriali e quelli fognari di diversi comuni della zona compresa una porzione della fognatura della città di Siracusa. Spunterebbe nel gioco delle parti tra le righe della determina dell’Irsap per il bando di gara una clausola di salvataggio in favore delle industrie. L’attuale prezzo della depurazione è di circa un euro e trenta centesimi al metro cubo, ma nel raffronto inserito nel disposto del bando di gara, da un fugace calcolo si ridurrebbero a circa 0,89 centesimi al metro cubo, con un bel regalo per le “sorelle industrie” del petrolchimico siracusano, mentre per i comuni il forfait diventerebbe invece molto più oneroso. Insomma, tutto somiglia ad una pastetta politica vecchio stile.
Già durante il tavolo tecnico convocato nel mese di dicembre scorso dal sindaco di Priolo, onorevole Pippo Gianni, in cui erano presenti i primi cittadini dei comuni interessati, nella relazione sui controlli effettuati dal Comune di Priolo Gargallo, Arpa e Libero Consorzio Comunale di Siracusa, oltre alle criticità già di pubblico dominio, si è appreso che l’impianto era in attesa di autorizzazioni sia allo scarico scaduta nel 2014, così come per le emissioni della porzione fanghi.
Durante l’incontro è stato riconfermato che il depuratore consortile versa in condizioni di avanzato degrado. “Il calcestruzzo armato delle vasche si presenta ammalorato con i ferri di armatura a vista e macro fessurazioni che lasciano presagire la totale assenza di manutenzione; le passarelle sono pericolanti e necessitano di una messa in sicurezza al fine di salvaguardare l’incolumità dei lavoratori; la stazione dell’acido solforico versa in condizioni di avanzato stato di deterioramento – così il sindaco di Priolo Pippo Gianni ha dichiarato pubblicamente e continuando aggiunge: “Non abbiamo più tempo a disposizione. A seguito dei diversi incontri fatti negli ultimi mesi, dopo il mio insediamento, sento sempre di più la necessità di un intervento forte e risolutivo. La mia è una vocazione industriale, non lo nego, e credo in un lavoro sinergico tra istituzione, sindacato e zona industriale, possa continuare a garantire il lavoro e l’economia di tutta la provincia, senza però far venir meno la tutela dell’ambiente e della salute. Viviamo tempi moderni in cui il progresso ci da la possibilità di vedere un’evoluzione industriale sempre più sostenibile e credo che sia proprio questa la strada che, con un atto congiunto, tutti noi dobbiamo seguire”. Denuncia, per la cronaca, elevata alla Procura di Siracusa e resa pubblica più volte dallo stesso Gianni, così come da Turi Magro anni or sono ma caduta sempre nel dimenticatoio.
Ma l’elenco delle criticità è ancora lungo. Infatti, le stesse fonti industriali confermano che le vasche di equalizzazione sarebbero piene di fango, non bonificate da qualche anno. E questo potrebbe essere rapportato con il sospetto di procrastinare i costi di gestione nei bilanci. L’eventuale nuovo soggetto scelto per la gestione del depuratore consortile a seguito della gara, si troverebbe con un costo non preventivato stimato in circa 8 milioni di euro tra smaltimento e bonifica di quei fanghi. Inoltre, si accenna sottovoce che un impianto conciato così nella sua generalità ridurrebbe la resa per la criticità biologica creata. Il dubbio sorge anche su quei fanghi accumulati all’interno delle vasche che diventerebbe, di fatto, discarica non autorizzata poiché avrebbe così superato la quantità massima prevista. Interpretazione a parte, il costo ambientale e di ripristino diventa davvero elevato con investimenti di milioni di euro, così come per le manutenzioni necessarie e per la corrosione delle vasche di cui si è parlato durante la riunione tra i sindaci del comprensorio industriale e già denunciato più volte dai dipendenti attraverso le organizzazioni sindacali di categoria, oltre al fascicolo d’indagine aperto dalla Procura di Siracusa in uno all’inchiesta sull’inquinamento selvaggio che portarono al sequestro degli impianti delle raffinerie ex Esso e dell’Isab-Lukoil.
Ma nello scenario appena descritto, ci sarebbe l’interesse diretto della mafia della depurazione che si muove come una vera e propria holding con forti agganci economici e istituzionali nello smaltimento del percolato prodotto dalle discariche dell’immondizia e dei rifiuti industriali dell’intera Sicilia e di cui si sono interessate diverse Procure distrettuali, come Trapani, Palermo, Messina e Catania. Percolato dirottato a forza verso la Calabria e che potrebbe essere smaltito benissimo in impianti della Sicilia, come quello gestito dall’Ias, con un costo intorno ai 2 euro al metro cubo anziché i circa 300 in atto necessari. Infatti, questa è una delle leve verso lo smaltimento illegale dei rifiuti o il semplice cambio del codice con il giro bolle e fatture “vuote” senza smaltimento e aspettando che la pioggia faccia il lavoro sporco verso il mare. Evidenze venute fuori in varie inchieste giudiziarie in Sicilia e in Calabria e di cui ha parlato spesse volte il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri. Ritorna così d’attualità e apre un interrogativo di chi avrebbe deciso qualche anno fa d’interrompere il conferimento, la depurazione e lo smaltimento del percolato e dei rifiuti provenienti dalla molitura delle olive, dei pozzi neri, delle officine meccaniche e tanto altro, nei depuratori della Sicilia, compreso quello di Priolo Gargallo gestito dall’Ias. Una siffatta condizione già svelata in alcune inchieste da parte di varie Procure siciliane e calabresi per capire chi è stato a organizzare il sistema di smaltire fuori dalla Sicilia i tanti milioni di metri cubi l’anno di percolato e reflui velenosi trasportato in Calabria e smaltito con tariffe obbligate che produce una montagna di euro con l’esorbitante rialzo fin dalla partenza, attraverso una viziata filiera che conformerebbe il connubio tra mediatori, trasportatori e gli impianti di trattamento in Calabria e in altre regioni oltre lo Stretto. Tematiche arrivate sui tavoli dei magistrati catanesi della Dda dal Noe dei carabinieri che hanno consegnato il frutto di un’indagine-gemella all’operazione “Piramidi” sugli intrecci fra mafia, imprenditoria e pubblica amministrazione nel settore dei rifiuti e i dintorni in tutta la Sicilia.
Concetto Alota