Un’emergenza sottovaluta. Stabilimenti e capannoni sotto il fuoco, il depuratore dell’Ias e diverse raffinerie in crisi. La centrale elettrica “Archimede” di Marina di Melilli in tilt. Il fuoco stavolta è arrivato vicinissimo agli impianti, ai parchi dei serbatoi di gas e idrocarburi. Quando è successo nel Petrolchimico siracusano, si è rivelato piuttosto grave; a forza di criticare chi denuncia la gravità della condizione in atto nella zona industriale siracusana, in coro con le industrie, abbiamo dimenticato che viviamo in un’area in cui gli impianti a rischio d’incidenti rilevanti sono molti, e vicini tra di loro e ai centri abitati. Ci sono tutti gli ingredienti per innescare un effetto ”domino“ in caso d’incidente. Una sola esplosione o un singolo scoppio da un impianto o un serbatoio e il disastro si estenderebbe con conseguenze catastrofiche per tutta l’area limitrofa, ormai troppa disordinata e in balia agli industriali senza scrupoli e senza pietà.
Non bisogna dimenticare che le raffinerie e gli impianti industriali nel Petrolchimico siracusano sono sottoposti alla direttiva Seveso III, e alle modificazioni di leggi e regolamenti, attuata con Decreto Legislativo 17 agosto 199 n. 334, che prevede delle specifiche attività di controllo e prevenzione. A ben vedere e sentire, per certo aspetti, sono proprio quelle che mancano o eseguiti alla leggera: vedi le sterpaglie che ogni anno provocano incendi e danni senza alcuna conseguenza per i responsabili.
Si registrano gravissime violazioni riguardano la normativa della “direttiva Seveso”; e bene ricordarlo, nome dettato dal triste evento che coinvolse le popolazioni della cittadina di Seveso che vivevano nei pressi dello stabilimento Icmesa, da dove prese origini la tremenda nube tossica contenente diossina che investì i territori vicini allo stabilimento, con danni per l’ambiente e gli esseri viventi. I danni furono dovuti al mancato e tempestivo intervento delle autorità, alla mancanza di pianificazione delle emergenze alla mancata informazione ai cittadini. Com’è successo nei giorni scorsi nella zona industriale siracusana. Sono stati i residenti a deviare il traffico diretto nella “bocca del leone” mentre prendeva fuoco tutto; è mancata la tempestività e la prevenzione.
Nel petrolchimico siracusano, nonostante il giusto obbligo previsto dalla legge, in attuazione della Direttiva Seveso, non si rispettano le ordinanze sindacali dei Comuni per i periodi che vanno solitamente dal 1 giugno al 15 ottobre, diretti ai proprietari dei terreni ubicati nella zona industriale siracusana e prospicienti la viabilità. Di solito si usa eseguire regolarmente la bonifica lungo il confine per la larghezza di dieci metri e per tutto il perimetro, da sterpaglie e quant’altro possa essere causa d’incendio. Ma si registra da sempre la mancanza dei controlli da parte di sindaci che solo ora strepitano a danno avvenuto, e a reato perpetrato, compreso quello da loro commesso.
Prima del disastroso incendio, era palese lo stato di abbandono delle campagne nelle vicinanze delle discariche di rifiuti sia urbani sia tossici; la conferma che sabato scorso il fuoco ha bruciato la discariche denominata “Aprile” in contrada Santa Catrina e dintorni, facendo tabula rasa di rifiuti andati in fumo, erbacce, gomme, recinzione, uliveti e terreni circostanti alle case e alle raffinerie viciniori. In quell’occasione, sono stati i residenti a sbraitare e a sbracciarsi per fermare il fuoco molto vicino alla raffineria della Sonatrach, ex Esso di Augusta, distruggendo la discarica oltre a incenerire i terreni circostanti.
Il Comitato Bagali-Sabbuci-Baratti ha denunciato, documenti alla mano, ai vigili urbani, all’Arpa, alla prefettura di Siracusa e a ventaglio a tutte le istituzioni interessate più volte negli anni lo stato di abbandono dei terreni nelle vicinanze delle raffinerie, ma la risposta è stata sempre e comunque, sibillina. Ma ora i fatti hanno dato ragione a quella gente presa per matta con scherni e sfottò sui Socila. Avevano ed hanno ragione da vendere. Grave che le istituzioni si innervosiscano per la loro denuncia, ma, i fatti, si ripetono, segno che hanno ragione.
A lavori cominciati, tutti ingegneri. È un vecchio detto siracusano; e guarda caso ora è proprio qualche sindaco a puntare il dito e a cavalcare la tigre del “sapere”, accusando chicchessia senza chiedere scusa per la sua personale mancanza d’intervento che la legge gli obbliga e concede.
Se ci sono silenzi, sono diffusi a ventaglio. I responsabili della mancata attuazione dei piani di emergenza esterna sono la Regione per la mancanza delle attività d’indirizzo e coordinamento; i Prefetti che curano l’approvazione e l’aggiornamento e i Sindaci che devono comunicare l’informazione alle popolazioni che arriva sempre troppo tardi. Ora la Procura vuole capire che cosa sia davvero successo; verificare il rispetto delle normative di sicurezza vigenti, sia per le Raffinerie e gli stabilimenti, così come per i terreni abbandonati nel territorio industriale.
Le raffinerie sono a due passi dai centri abitati di Melilli, Priolo, Città Giardino e Belvedere; il pontile dell’Isab si trova sotto i popolosi quartieri di Scala Greca, la Pizzuta e Mazzarrona; una nota a parte merita il centro commerciale di Contrada Spalla con le sfere di Gpl e i serbatoi d’idrocarburi a 600 metri circa; stessa cosa per il parco serbatoio situati tra Priolo e Melilli dove insiste a sua volta un altro grosso centro commerciale. Augusta a sua volta paga lo scotto del sottovento che spira dalle industrie e del mare inquinato a più non posso per i veleni in fondo al mare e la mancanza del depuratore dei reflui. Le popolazioni del territorio industriale siracusano, soffre; il sogno del facile Eldorado si è trasformato nell’inferno sulla terra.
I disastri avvenuti nel mondo in simili circostanze, compreso lo scoppio del treno carico di Gpl a Viareggio, sono stati ampiamente documentati e spiegati nei minimi particolari; la saggezza non fa i conti con il bisogno continuo del vile denaro nella società dei consumi, ma gli studi si sono abbondantemente pronunciati e in maniera chiara sui danni derivati dalla raffinazione del petrolio e dalla produzione dei prodotti chimici e dei pericoli derivanti dalle industrie nell’ambiente e agli esseri viventi. Siamo portati per natura a nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma per quanto tempo ancora? Non c’è da meravigliarsi. E’ successo quello che era prevedibile; ma, ancora una volta, i responsabili non saranno puniti.
Le lobby della chimica e della raffinazione hanno accumulato profitti enormi negli anni passati senza preoccuparsi dei tumori provocati dai veleni, dai fumi e dalle polveri che ammorbando l’aria ci fanno soffrire, ammalare e ci costringono a morire di cancro. Quello che è successo, ci fornisce e ci conferma la sintesi drammatica, inevitabile, contro la cittadinanza e gli addetti ai lavori. Ora, forse, vediamo le torce sinistre delle fabbriche della morte come un nemico che ti fa ammalare e perire, prepotente verso la nostra terra e il nostro mare, che ci ha già rubato la speranza per il futuro. E lasciamo stare le lunghe perizie che sono alla base dell’inchiesta della magistratura, che non ha alla fine le prove per inchiodare sul banco degli imputati di chi ha provocato i disastri sanitari. Unna legislazione troppo permissiva per i giganti delle industrie in connubio con la politica da sempre e che si assomma a tutto quello che già sappiamo. Lo scenario è a dir poco spaventoso, ma in molti tentato di minimizzare, mentre gli aspetti sono tutti al negativo, purtroppo, nella regola che “al peggio non c’è mai fine”.
Concetto Alota