Quattro passi nell’arte a Venezia.

Resoconto incompleto della 59’Biennale ed eventi collaterali.

Le ragioni per tornare a Venezia, almeno per me, non mancano mai.

Se poi si unisce l’occasione di partecipare come relatore alla II edizione di un’iniziativa come il Festival delle Felicita’, nell’incredibile sede del Ca Sagredo Hotel (tra gli hotel più belli del mondo) a quella di visitare un momento di risveglio di creatività come quello legato alla Biennale, non c’è possibilità di resistere.

Pur con tutti i dubbi che, almeno in me, hanno sollevato le parole della Curatrice, Cecilia Alemani, circa l’aver realizzato una “Biennale femminile ma non femminista” (!), la risonanza mondiale dell’evento e la sua storica capacità di portare in Laguna, anche, il meglio della produzione artistica mondiale resta inalterato.

E così, magari con in animo l’idea di trovare anche qualche traccia di quanto avvenuto nel mondo negli ultimi due anni, mi sono avventurato tra calli e canali, giardini e palazzi con taccuino e macchina fotografica di ordinanza.

Che dire? Il tempo non era tantissimo, ma francamente una settimana intera non sarebbe bastata.

Tuttavia, pur con delle scelte guidate da diverse letture di preparazione, posso osservare di aver visto qualche meraviglia e diversi lavori di valore che credo sia il caso di segnalare ed illustrare brevemente.

Ho voluto subito mettere alla prova qualsiasi altra occasione artistica disponibile, recandomi a vedere ciò che mi era parso di capire fosse assolutamente imperdibile.

A Palazzo Ducale, infatti, in una collocazione del tutto inedita e nell’ultima sala di una normale visita, quella c.d. dello Scrutinio, è stata realizzata quella che non esito a definire la Cappella Sistina laica di Anselm Kiefer (sino al 29 ottobre 2022).

In occasione dei 1600 anni dalla fondazione della Serenissima, è stata data a questo gigante dell’arte contemporanea la possibilità unica di coprire con le sue immense tele tutte le opere della grande sala, offrendo al visitatore un’esperienza immersiva veramente incredibile.

Ritengo che sia impossibile restituire con foto non iper professionali, quali quelle presenti nel Catalogo, una prospettiva accettabile dello spettacolo allegorico ed emozionale che questi lavori materici e struggenti offrono all’osservatore.

Anche nel più breve dei tour in questo periodo, la visita a questa meraviglia non può mancare.

La seconda opportunità di visita che mi pare del tutto imperdibile è Palazzo Grimani.

Una spettacolare residenza nobiliare cinquecentesca, recentemente restaurata in maniera magnifica che, tra soffitti dipinti, pavimenti meravigliosi e una eccezionale raccolta di statuaria romana, costituisce un qualcosa di realmente atipico, oltre che splendido, per il visitatore dell’arte in laguna.

In particolare, c’è da segnalare la cd Tribuna Grimani, una stanza posta al termine di un’ala del primo piano, dove si concentra un grandissimo numero di opere in marmo, da lasciare veramente storditi.

Del tutto incidentalmente, direi, il Palazzo ospita due mostre moderne.

Una, Archinto (sino al 27 novembre 2022) propone qualche nuova e molto colorata produzione di G. Baselitz, il noto artista dei quadri a testa in giù che, grazie anche ad un buon allesstimento, si inserisce in maniera accettabile nel prezioso contesto.

L’altra, La punizione di Marsia, di tal Mary Weatherford, che può essere vista come tornasole di pseudo arte supponente e pretenziosa.

Leggiamo che l’autrice sarebbe rimasta impressionata dalla nota opera di Tiziano, di cui non è disponibile alcuna riproduzione per il povero visitatore che legittimamente la ignorasse, dedicandosi a riprodurre le emozioni e sensazioni scaturenti dal quadro secondo la sua sensibilità.

Il risultato è una serie di tele brutalmente astratte e confusamente colorate con toni scuri, su ognuna delle quali, in un punto o in un altro, è posto un tubo di luce al neon.

Mah! Se non altro, parlando con un gentile addetto, ho trovato in un angolo, buttata su una sedia, una riproduzione dell’opera di Tiziano, giusto per riconciliarmi con l’arte e veder confermate le mie sensazioni.

Ancora, una “piccola” esposizione che ritengo sarebbe grave perdere è nel cuore di Venezia.

Nel già di per se’stupefacente Negozio Olivetti di piazza San Marco 101, arredato dalle inconfondibili linee di Carlo Scarpa, troviamo (sino al 27 novembre 2022), un audace confronto tra due giganti: Lucio Fontana e Antony Gormley.

Le opere esposte non sono molte, è vero, ma la loro qualità e la sede della proposta giustificano ampiamente quattro passi in questa sorta di capsula del tempo artistico.

Si passa quindi a qualche considerazione sull’esposizione principale, la vera Biennale, notoriamente divisa tra le sue gigantesche sedi dei Giardini e dell’Arsenale (sino al 27 novembre).

Ho visitato per primi i Giardini, tolta l’immensa tristezza di vedere il Padiglione Russo desolatamente chiuso, ammetto di aver avuto più di una piacevole sorpresa.

Il Padiglione Centrale, che da quando ha smesso di essere il Padiglione Italia, finisce sempre per diventare una sorta di grande raccolta, senza o con poco senso, di “artistica” varia, anche questa volta conferma questo destino.

Almeno per me, se nelle centinaia di opere esposte, finisco per ricordare con piacere giusto un paio di storici lavori di Carla Accardi e una sala interamente dedicata a Paula Rego, senz’altro inquietanti nel narrare rapporti “disturbati” tra adulti e bambini, uomini e donne.

Della lunga teoria di altri Padiglioni, mi sento di attribuire ex aequo una menzione negativa a quelli spagnolo e tedesco.

Il primo, desolatamente vuoto, con alcune tonalità di bianco sulle pareti, che sembra riportare alla “non arte” di certi anni ‘60. 

Il secondo, inutilmente trasformato in un cantiere, dove, in effetti, almeno dei “vecchietti osservanti” avrebbero fornito un po’ di ironia.

Di ben altro spessore, fortunatamente, la serie di video sui giochi di bambini in tutto il mondo nel Padiglione belga, ad opera di Francis Alys o gli interessantissimi collage con foto di arte antica nel Padiglione Israeliano, tra l’altro in una curiosa ambientazione a base di un simil blu di Klein, che merita assolutamente la visita (artista Ilit Azoulay).

Per molti versi sorprendente il Padiglione Venezia, con una notevole allegoria del mito di Apollo e Dafne realizzata da Paolo Fantin ed altre opere interessanti.

Senz’altro meritevoli di menzione il follemente tecnologico Padiglione koreano, il Padiglione brasiliano e quello venezuelano “dagli occhi tristi”.

Come noto, poi, l’Arsenale è sostanzialmente un lunghissimo rettangolo in cui si susseguono anche migliaia di “opere” e nel quale è oggettivamente assai difficile realizzare qualcosa di omogeneo. Lo stesso termina con il Padiglione Italia dove, quest’anno, le infinite polemiche sul lavoro che lo occupa ad opera di Gian Maria Tosatti hanno riempito pagine e pagine di pubblicazioni di settore e sul quale ho deciso di non esprimermi (tanto toccherebbe vederlo comunque).

Per il resto, la mia valutazione è globalmente abbastanza negativa con un paio di eccezioni.

Mi riferisco in particolare al Padiglione maltese, ospitato lungo il percorso dell’Arsenale, dove una gigantesca struttura in ferro lascia cadere ad intervalli irregolari delle gocce di acciaio fuso, come piccole comete, all’interno di grandi bacini d’acqua.

Il lavoro si richiama ad un’opera di Caravaggio che si trova nella Cattedrale de La Valletta e, al netto della difficoltà di riconoscerne i riferimenti, ha veramente una forza suggestiva (artisti Arcangelo Sassolino e Giuseppe Schembri Bonaci).

L’altro intervento che mi sento di segnalare è nel Padiglione di Singapore, a metà circa del percorso dell’Arsenale, dove Shubigi Rao presenta la terza parte di un grande progetto dal titolo Pulp, con il quale svolge una titanica opera di ricostruzione dell’attività di comunicazione tra gli individui e comunità all’interno del quale si pone anche quesiti sulla narrazione della pandemia.

In conclusione, ribadisco l’assoluta e anche necessaria incompletezza di queste righe che, mi auguro, possano comunque costituire una serie suggerimenti utili per chi, curioso di arte, si approcci a Venezia in questo periodo,

Gianfrancesco Vecchio

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