Speciale immigrati
La scoperta fatta dai carabinieri del comando provinciale di Siracusa nel campo immigrati ridotti in schiavitù a Cassibile, che vivono in condizioni precarie in una vera e propria baraccopoli, riapre il fenomeno dello sfruttamento del caporalato e delle aziende agricole che ricevono dell’Unione Europea contributi a fondo perduto. Denunciati e schedati come fossero i soli colpevoli di questo sistema illegale, invece sono le aziende e i caporali i veri responsabili; non sono di certo turisti benestanti in ferie in Sicilia, ma disperati che vivono come cani randagi e sfruttati dalla falsa economia in una società (moderna) che nega la verità incontrovertibile e nell’indifferenza politica e sociale, in uno Stato ormai ridotto a Repubblica delle banane. Assurdo che nell’era digitale, quei poveri 120 disperati di colore fra sudanesi e senegalesi sono costretti a vivere in capanne di fortuna, realizzate con materiale di scarto, cartone, lamiere, raccolto nelle discariche; il fatto apre una ferita alla pseudo civiltà moderna. Ancor più grave il silenzio istituzionale e l’omertà diffusa, in cui nessuno vede un via vai di mezzi di trasporto appariscenti che la mattina e la sera, con furgoni e piccoli autobus malandati trasportano i poveri disperati come fossero bestie. Possibile che nessuno controlla cosa trasportano quei mezzi ogni giorno alla stessa ora, da quella contrada chiamata Stradicò, a pochi centinai di metri da Cassibile, in tutte le campagne della zona?
Una vera baraccopoli, quella trovata dai carabinieri, in pessime condizioni igieniche sanitarie e priva di acqua corrente ed energia elettrica; per lavarsi i nuovi schiavi sono costretti utilizzare dei secchi di plastica che riempiono di acqua riscaldata in un pentolone alimentato con della legna raccolta in giro per le campagne, mentre a pochi passi insiste una discarica puzzolente a cielo aperto in cui sono bruciati i rifiuti. La cucina è formata da un semplice e rudimentale braciere.
L’uso degli schiavi negli Stati Uniti d’America era un istituto previsto dalla legislazione, durata per più di un secolo da prima della nascita degli Stati Uniti. Forma di schiavitù che assoggettava manodopera gratis acquistata in Africa da mercanti di schiavi per essere utilizzati come servitori e raccoglitori nelle piantagione dando vita così alla diffusione di quella che fino ad allora era una pratica delle colonie spagnole in Sudamerica.
Oggi in Italia siamo ritornati al passato; gli schiavi sono i migranti sfruttati da caporali e imprenditori senza scrupoli. Pagati molto meno degli italiani, spesso con retribuzioni da fame. La scoperta dei carabinieri ha trovato un popolo di braccianti retribuiti con pochi euro l’ora. Una popolazione di “invisibili”. Stranieri che lavorano nelle campagne, lontano dagli occhi dei centri abitati, spesso alloggiati in tuguri fatiscenti, sfruttati e mal pagati da caporali e imprenditori nostrani; il loro impiego nelle campagne è capillare, la loro vita resta confinata nel silenzio.
Braccianti pendolari che si riversano ogni anno nell’indifferenza generale nelle campagne in arrivo da altre regioni spostandosi internamente, tra le province italiane, per soddisfare i picchi della produzione e della lavorazione di prodotti agro-alimentari su tutta la penisola. Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia.
Un immigrato che lavora come bracciante agricolo nelle campagne in Sicilia è pagato a cottimo con 3,5 euro il cassone per la raccolta dei pomodori, e 4 euro l’ora per la raccolta degli agrumi. Il tutto in nero per intere giornate comprese tra le 12 e le 14 ore di lavoro consecutive a cui vanno sottratti 5 euro di tasse per il trasporto, 3,5 euro per un panino e 1,5 euro di acqua, da pagare sempre al caporale di turno.
Il caporalato resta il tratto proprio nell’organizzazione delle aziende agricole italiane. Sono loro a decidere il prezzo dell’ingaggio, o a selezionare i braccianti. Lavoro nero, ma anche tanta determinazione delle regole del mercato agricolo, con condizioni che gli imprenditori permettono siano decise da chi lucra sulla pelle dei braccianti, sfruttando il bisogno di lavoro sia degli immigrati.
Nelle campagne del Sud Italia negli anni passati parecchi braccianti agricoli sono morti di fatica. Sfiancati da 12/14 ore di lavoro nei campi, vittime predestinate di un destino crudele. Soltanto in conseguenza della morte di questi poveri diavoli, i media hanno acceso i riflettori sul fenomeno caporalato, richiamando l’attenzione delle istituzioni politiche, quasi si trattasse di una novità. Da oltre più di trent’anni il lavoro agricolo è controllato e gestito dai caporali, ma l’interesse della politica è sempre ridottissimo, come se l’Italia non fosse un paese agricolo e come se l’intermediazione di manodopera non fosse un reato grave e penale.
Occorre mettere in moto un piano serio da parte delle istituzioni dello Stato, con interventi concertati tra tutti gli organismi deputati ai controlli: Inps, ispettorati del lavoro, guardia di finanza e forze dell’ordine, con controlli mirati da compiere con costanza e continuità, per provare ad assestare un colpo a organizzazioni che ormai hanno interessi radicati, che si intersecano perfettamente con quelli legati al traffico degli immigrati clandestini.
Il rischio, dunque, è che, finito il tam tam della notizia, tutto si ferma e il silenzio ritorna a dominare la scena del crimine. Un fenomeno che continua a ripresentarsi con la sostanziale omertà generalizzata e di quella parte della stampa “ruffiana” troppo occupata a cantare le lodi immeritate ai potenti di turno (specie nella provincia di Siracusa) per accorgersi della miseria e dello sfruttamento che si nasconde nelle campagne e non solo.
Migliaia di braccianti in nero distribuiti in lungo e in largo che vivono in ghetti, senza acqua corrente e poco cibo, costretti a delinquere di notte per sopravvivere. Un fenomeno di vera e propria schiavitù, dove i fatti dimostrano l’esistenza di un rapporto di lavoro in cui la parte forte, l’imprenditore, sfrutta quella debole, con sistematica retribuzione in misura illegalmente ridotta; la violazione della normativa su orario, riposo settimanale, sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro e a lavorare in condizioni di vero disagio umano e in alloggi particolarmente degradanti. Una vera e propria somministrazione fraudolenta di manodopera e di norme che ostacola l’intervento di un’autorità ispettiva, lasciando al debole e disperato immigrato la dimostrazione della natura disonesta del pagamento delle sue prestazioni.
Concetto Alota
Presidente Conte, seppure in un momento tragico della pandemia, le chiedo dal più profondo del cuore, di mettere come priorità anche la fine alla schiavizzazione degli immigrati da parte delle Aziende Agricole e i loro infami caporali. Denari europei a questi sfruttatori di umanità, sono uno schiaffo agli italiani sensibili a questa ignobiltà che è la vergogna della nazione. La prego ancora signor Presidente faccia in modo che questi sventurati vengano legalizzati e tolti dalle mani assassine di questa gente e dar loro la possibilità di una vita decente. Ha fatto tanto in questo periodo così drammatico…..anche con chi le remava contro……per la nostra nazione, faccia ancora un sforzo per spazzare via questa purulenta e vergognosa piaga nazionale. grazie anticipatamente signor Presidente……spero che questa supplica le arrivi.