In questo millennio si sta affermando il dominio assoluto del capitalismo finanziario internazionale senza volto che ritiene di non avere alcun vincolo con le comunità locali ed i singoli Stati ed agire nel solo interesse dei loro azionisti calpestando tutto e tutti.
Inoltre assistiamo all’imporsi della globalizzazione dei mercati e le multinazionali che li rappresentano, che sta imponendo ai singoli Stati la trasformazione del concetto di Lavoro e dei diritti dei lavoratori, per renderli più adeguati al nuovo mercato globalizzato che sta distruggendo le piccole imprese, da sempre spina dorsale dell’Italia.
Nella nostra Nazione lo Statuto dei lavoratori, pur festeggiando i suoi primi 50 anni di vita e pur avendo subito diversi “attachi normativi” che ne hanno minato le fondamenta, fortunatamente rappresenta ancora il baluardo di tre diritti fondamentali dei lavoratori, garantendo loro: salute e sicurezza; compenso equo per il lavoro svolto; e formazione continua.
Alcuni importanti giuslavoristi vorrebbero trasferire l’attenzione e la centralità dallo Statuto dei “lavoratori” verso un, secondo loro, più moderno Statuto dei “lavori” mettendo al centro non più l’essere umano, non il lavoratore come invece attualmente è l’impostazione sociale e giuridica dello Statuto del 1970, ma esclusivamente il concetto di lavoro attorno al quale il lavoratore diventa una figura secondaria da adattare (leggi schiavismo) alle esigenze organizzative economiche e sociali di un determinato “lavoro”, di una determinata multinazionale, calpestando i principi fondanti della dignità dei lavoratori.
Questa impostazione, seppur legittimamente espressa, per il Sinalp Sicilia non è condivisibile perché solo grazie all’attuale impostazione della legge 300/70, che vede invece i lavoratori perno centrale del mondo del lavoro, è stato possibile difendere i loro diritti e la loro dignità.
Lo Statuto dei lavoratori deve essere inteso come una “Carta Costituzionale dei lavoratori” che non deve permettere, alle aziende prima ed alle mutinazionali oggi, di trasformare l’operaio in una semplice macchina da lavoro che si distingue dallo schiavo di antica memoria, solo dal fatto che percepisce un “misero” salario appena bastevole alla sopravvivenza.
I recenti interventi normativi sulla flessibilità del lavoro (contratto a tutele progressive, art. 18, ecc. ecc.) realizzati in questi ultimi decenni dai Governi che si sono succeduti, secondo il nostro parere, sono da considerarsi solo come una strategia a lungo termine con l’obiettivo della trasformazione del concetto di lavoro e la conseguenziale costituzione di un nuovo sistema di “tutele” introducendo di fatto una progressiva instabilità e precarietà del lavoratore che non avrà più certezze e sicurezza reintroducendo la piaga del lavoro servile ottocentesco.
La modifica al ribasso dello Statuto dei Lavoratori, la “svendita” dei diritti sociali ed economici raggiunti, avranno come ulteriore risultato, di contrapporre chi lavora in aree ancora garantite come il comparto del “pubblico” , con tutti gli altri fino, in una scala di tutele decrescenti, le fasce purtroppo crescenti di persone escluse anche dai diritti essenziali.