Non è la prima che si svolge tra due duellanti politici una battaglia per questioni che riguardano i risultati elettorali. E mentre nella maggior parte degli altri casi la lotta si è adattata continuando con colpi bassi e toni piuttosto offensivi, Ezechia Paolo Reale e Francesco Italia, pur avendo iniziato con botta e risposta “intossicati”, ma prudenti, Reale tenta di riportare la questione insorta utilizzando lo strumento necessario della diplomazia che in molti casi sfocia nella conclusione di aspettare “vigili” le decisioni della massima istituzione della magistratura amministrativa.
Entrambi i duellanti mirano innanzitutto a conciliare i diversi interessi di gruppo, essendo la politica non una regola fissa ma variabile al cambiare dei toni e delle circostanze in base ai propri interessi. Nell’intervallo di tornare nelle pieghe giuridiche, il confronto a distanza tra Francesco Italia ed Ezechia Paolo Reale si fa sempre più insistente, non violento, ma a colpi di regole diplomatiche, anche se al peperoncino, attraverso la regola politica della “lettera aperta”.
In politica quando insorge, una vertenza tra gruppi contrapposti, c’è sempre un filo rosso che collega gli interessi al gioco delle parti: la raffinata signora chiamata “diplomazia”. Nella società moderna, così come in politica, la putrefazione della struttura sociale è in crescita attraverso l’insincerità cosiddetta elegante, falsa e cortese; questo attraverso una metodologia originale, che censisce ogni scambio disdicevole che coinvolge direttamente uomini politici anche all’interno di altri fattori nascosti.
È la logica del controllo per la conquista del potere che la politica ha da sempre operato, nella sinottica della scienza sociale di riferimento, fuori dagli schemi di partito o di corrente, ma organizzati come a dei veri gruppi sociale o di amici che dir si voglia. Oggi lo scenario non è cambiato di molto; si vuole condizionare l’intera attività amministrativa per mettere le mani nella stanza del potere, anche con la violenza verbale, che si distingue dalla ragione, ma che soffoca ogni atto democratico e imprime nel pensiero dell’esecutore la visibilità nascosta, perdendo la necessaria lucidità, come se dopo la minaccia velata, l’obiettivo è stato raggiunto, in una logica disperata che cerca di realizzare con la falsa diplomazia ciò che si chiama vita democratica politica: il passato che ritorna prepotentemente per ricordarci che altri hanno fatto, suppergiù, lo stesso errore, o cosa che dir si voglia.
Ogni trasformazione è un rischio senza le idee di ricerca; conserva chi ha da perdere, ma la critica è l’idea politica degli altri, la rivoluzione è di tutti. È nessuna soluzione rivoluzionaria è senza un passato, un presente e un futuro. Gli schiavi periranno se non si ribelleranno. È chiaro che nessuno vuole accettare questa tesi estrema, ma la logica non è una favola, che anzi vuole guadagnare la posizione che merita nella graduatoria del linguaggio universale nell’era cosiddetta moderna. Nessuno accetterà mai tale siffatta condizione, poiché insiste il naturale coinvolgimento di una buona parte del popolo sovrano, lo Stato democratico con i sui molteplici aspetti nel bene e nel male, obiettando che così ogni istituzione potrebbe essere dichiarata prevaricatrice. In fondo alla fine forse è proprio così.
Concetto Alota