Dal 1555, anno in cui venne istituito da Papa Paolo IV Carafa, il ghetto di Roma andò degradando sempre più, fino a diventare una delle zone più malsane e sovraffollate di tutta la città. Nonostante questo, e nonostante le continue e incessanti vessazioni, la popolazione che vi risiedeva nel XVII secolo era molto attiva sotto tutti i punti di vista. Numerosi sono i documenti che lo testimoniano, ma i relativi studi finora pubblicati sono basati per lo più su fonti di origine cristiana.
Recentemente, però, è uscito con la Gangemi Editore, “Una società dentro le mura” di Andrea Yaakov Lattes. Frutto di uno studio trentennale, il volume riporta l’analisi di una parte del registro redatto all’epoca dai notabili della Comunità. Un lavoro importante sia perché offre uno sguardo dall’interno concernente molti aspetti, da quelli amministrativi e burocratici, alla vita sociale e culturale, sia poiché rende più facilmente fruibile una testimonianza scritta in gran parte in ebraico arricchito da “termini italiani traslitterati o tradotti letteralmente in maniera assai colorita”.
Partendo dalla descrizione del registro stesso e delle sue peculiarità, l’autore prosegue con l’illustrazione dell’organizzazione politica la cui nascita ufficiale risaliva all’incirca ad un secolo prima, grazie ad una sorta di costituzione redatta da Daniel da Pisa e approvata con bolla papale da Clemente VII.
Un apparato democratico nel quale i poteri erano suddivisi tra organi esecutivi, amministrativi e di controllo e rappresentativo delle varie componenti economiche (la comunità era suddivisa in quattro strati: banchieri, ricchi, “mediocri” e poveri) ed etniche (a Roma vi risiedevano infatti, italiani ed “ultramontani”, ovvero i sefarditi, originari dai regni spagnoli e portoghesi e dal nord Africa, e gli ashkenaziti provenienti dall’Europa centro orientale).
Esso doveva affrontare numerose problematiche, comprese quelle municipali, ossia “il corretto funzionamento delle vie di comunicazione, del sistema fognario, dell’approvvigionamento idrico” e così via. Il terzo capitolo è dedicato alla struttura sociale e demografica, agli usi e costumi, al ruolo delle donne, alla gestione del tempo libero e delle infrazioni commesse.
Da non trascurare l’ultima parte che tratta le due epidemie di peste, quella del 1630 descritta anche dal Manzoni nei Promessi Sposi e quella più drammatica per i romani, del 1656. Il tema successivo riguarda gli aspetti economici e finanziari, con la descrizione delle varie tasse, del sistema creditizio, delle principali uscite e della situazione fortemente debitoria della comunità, causata essenzialmente dalle imposizioni papali.
Conclude la pubblicazione un argomento altrettanto interessante, ma anche assai doloroso: il rapporto con i cristiani e i vari sistemi vessatori e persecutori attuati dalle autorità ecclesiastiche.
Un lavoro di stampo accademico arricchito da ben quattro prefazioni (rispettivamente del Rabbino capo Riccardo Di Segni, della Presidente Ruth Dureghello e del Direttore del Dipartimento dei Beni culturali della Comunità di Roma, nonché del Presidente dell’Associazione Italiana per lo studio del Giudaismo, Mauro Perani) scorrevole e di non difficile lettura anche per chi non è addetto ai lavori, ma è interessato a conoscere un periodo storico capitolino intenso e per molti aspetti significativo.
Leggendo il libro si ha dunque la sensazione di essere accompagnati in un viaggio nel tempo (e per chi non è di Roma, anche nello spazio), ma la cui storia potrebbe essere vista anche in una prospettiva attuale: coincidenza ha voluto, infatti, che il volume sia uscito proprio nel periodo più buio della pandemia del Covid, quasi a ricordarci che la Storia si ripete, anche se mai allo stesso modo.